STRENNA 2020
«Sia fatta la tua volontà, come in cielo così in terra» (Mt 6,10)
“BUONI CRISTIANI E ONESTI CITTADINI”
PREMESSA
Credo sinceramente che abbiamo bisogno, nella nostra Famiglia Salesiana, in ciascuno dei nostri gruppi, nelle diverse nazioni in cui ci troviamo, e con le opere più svariate, di rivolgere lo sguardo su quegli aspetti che hanno a che vedere con la formazione del cristiano e del cittadino.
→ Dobbiamo rendere sempre più esplicito il messaggio che la nostra missione è Evangelizzatrice e Catechizzante. Senza questo, non siamo Famiglia Salesiana. Possiamo essere ‘fornitori di servizi sociali’, ma non apostoli di bambini, bambine, adolescenti e giovani.
→ Allo stesso tempo è più che evidente che nella nostra missione di educatori non possiamo ‘vivere in un limbo’, senza che nulla abbia a che vedere con la vita, la giustizia, l’uguaglianza di opportunità, la difesa dei più deboli, la promozione di una vita civile ed onesta. Questa dimensione è oggi più urgente che mai, dal momento che le società in cui viviamo non credono molto in questi valori. Noi, quando educhiamo, da che parte stiamo? Proprio in forza di questa domanda è così attuale e necessaria la riflessione della Strenna di quest’anno.
Per ciò che concerne questo ultimo aspetto, ovvero una Strenna in cui parlare di come essere Buoni Cristiani in società non cristiane, mi sono giunte domande da alcune di queste regioni; ve le presento, contengono indubbiamente una grande sensibilità pastorale. Eccone alcune.
Oggi invece, nei 134 paesi del mondo in cui si è diffuso il carisma, sentiamo piuttosto il bisogno di mantenere l’equilibrio in un atteggiamento di apertura e di inclusione nel processo educativo “per e con” i giovani e i laici non-cristiani, partendo dal primo annuncio del Vangelo di Gesù Cristo attraverso il Sistema Preventivo che crea le relazioni, un clima di famiglia dove si educa e dove la fede viene trasmessa per osmosi.
Bisogna tenere conto degli ambienti pluri-culturali e multi-religiosi delle 40 Ispettorie salesiane che vivono nelle Chiese minoritarie tra le grandi religioni del mondo, soprattutto in Asia e in Africa.
Non basta ripetere quanto Don Bosco ha fatto nell’Ottocento. Possiamo imparare dalle esperienze dei Salesiani che vivono oggi il Sistema Preventivo in paesi a maggioranza non cristiana. Sicuramente hanno tante ricche esperienze di vita, hanno saputo interpretare il pensiero di Don Bosco in contesti multi-religiosi e multi-culturali che il nostro Padre neppure avrebbe potuto immaginare.
- Come mettere in pratica il binomio di Don Bosco tra i giovani e i laici collaboratori non cristiani?
- Come mantenere l’equilibrio tra l’apertura ai non cristiani e il primo annuncio del Vangelo?
- Come tradurre il concetto di ‘buon cristiano’ per la maggioranza dei collaboratori laici non cristiani?
- Come mettere in pratica il pilastro della ‘Religione’ nei contesti multi-religiosi nei quali ci troviamo?
- Come educare i giovani e i laici ai tre pilastri della Spiritualità del Sistema Preventivo di Don Bosco: Ragione –Religione- Amorevolezza?
- Come tradurre nella vita quotidiana i ‘buoni cristiani’ di Don Bosco nella missione condivisa con tanti non cristiani?
- Il Rettor Maggiore crede che il Sistema Preventivo di Don Bosco possa essere pienamente vissuto e messo in pratica anche dai laici collaboratori di altre religioni?
- Come includere i non cristiani nella Comunità Educativo Pastorale (CEP)?
- Cosa dicono gli stessi non cristiani che sono coinvolti nella missione educativa salesiana?
- Quali sono le espressioni più attraenti della pratica del Sistema Preventivo di Don Bosco?
Credo che durante lo sviluppo della Strenna si potranno trovare indicazioni che rispondono in un modo o in un altro a questi quesiti, ovviamente più che legittimi, che mi sono stati fatti pervenire.
BUONI CRISTIANI E ONESTI CITTADINI in Don Bosco1
→ Preparare buoni cristiani alla Chiesa, onesti cittadini alla civile società (1877)
- Farne buoni cittadini e buoni cristiani è lo scopo che ci proponiamo;
- Farne buoni Cristiani ed onesti cittadini;
- Sono (…) utili cittadini e buoni cristiani;
- Diventano buoni cristiani, onesti cittadini;
- Entrando un giovane in quest’Oratorio deve persuadersi che questo è luogo di religione, in cui si desidera di fare dei buoni cristiani ed onesti cittadini;
- Ridonarli alla civile società buoni cristiani e buoni cittadini;
- Educati a virtù cristiane e civili (…) farne buoni cristiani ed onesti cittadini;
- Si tratta di renderli onesti Cittadini e buoni Cristiani;
- Vivere sempre da buoni cristiani e da savii cittadini;
Speranza che essi diventino buoni cristiani, onesti ed utili cittadini; - Sont maintenant de bons chrétiens et d’honnêtes citoyens;
- Io godo assai nel sapere che voi (…) vivete da buoni cristiani, da cittadini Onorati;
- Dovunque vi troviate mostratevi sempre buoni cristiani e uomini probi;
- Scopo dei nostri collegi è di formare dei buoni cristiani, e degli onesti cittadini;
- Per essere poi ridonati alla civile Società buoni cristiani, onesti cittadini;
- Escono buoni Cristiani e bravi cittadini;
- Ritornarli alla Società buoni cristiani ed onesti cittadini;
- Educarli in modo da farne buoni cittadini e veri cristiani.
- Buon cristiano e onesto cittadino;
- Apprendendo a vivere da buoni cristiani e da savii cittadini;
- Ammaestrati a vivere da buoni cristiani e savii cittadini;
- Diventano buoni cristiani, savii cittadini;
- Rendendoli buoni cristiani ed utili cittadini;
- Continuate dunque ad essere buoni cristiani e savii cittadini;
- Dare alla civile società dei membri utili, alla Chiesa dei cattolici virtuosi, al Cielo dei fortunati abitatori;
- Farne buoni cittadini e buoni cristiani;
- Ridonarli (…) alla civile società buoni cristiani, onesti cittadini;
- Faran vedere al mondo come si possa (…) essere Cristiani e nello stesso tempo onesti e laboriosi cittadini;
- Istruirli, educarli e farne così dei buoni cristiani ed onesti cittadini;
- Quanti buoni figliuoli, quanti padri cristiani ed onesti, quanti migliori cittadini di più non potremmo dare alle famiglie, alla Chiesa, alla società;
- Rendersi buoni cristiani ed onesti cittadini;
- Restituirli alla famiglia, alla società, alla Chiesa buoni figliuoli, savii cittadini, esemplari cristiani.
Come possiamo notare, come se si trattasse di una partitura musicale, la melodia è sempre la stessa, ma con diverse sfumature. Lo presenta in modo inequivocabile don Braido in uno studio che ci ha permesso di comprendere che Don Bosco non è un teorico. È un uomo di azione. È, però, uomo di azione che «riflette» sul senso delle sue iniziative pastorali. Perciò, mentre non sorprende che il lessico utilizzato e i concetti espressi risultino semplici e ripetitivi, emerge chiaro che il suo operato si muove lungo linee d’azione ben precise e chiara consapevolezza «teorica», sia a livello di conoscenza delle situazioni e dei problemi sia per quanto riguarda le soluzioni operative messe in pratica. I due aspetti risaltano con particolare evidenza in una delle sue espressioni più care e ripetute: «buon cristiano e onesto cittadino».
1.1 BUONI CRISTIANI Vivendo nella Fede nel Signore e con la guida dello Spirito…
Se si ritorna alle nostre origini, quando era Don Bosco alla fine di dicembre ad offrire con messaggi personalizzati la Strenna per il nuovo anno a ciascuno dei ragazzi e dei primi Salesiani, si coglie come “vivere nella fede” fosse quanto di più prezioso e insieme più naturale il primo Oratorio avesse da offrire a chi viveva là, sia i ragazzi che i loro educatori. Era lo specchio di una realtà di vita dove i primi Salesiani, le mamme dell’Oratorio, i laici che aiutavano e i giovani, formavano una vera famiglia nella stessa casa.
È impressionante il numero di Santi e Beati che hanno abitato quei poveri ambienti durante la vita di don Bosco. É stata una scuola di santità reciproca, un crescere insieme nella fede. Se è vero, per esempio, che don Bosco ha aiutato Domenico Savio a crescere nell’amore per Dio, non è meno grande l’influenza di Savio e dei suoi compagni su don Bosco, sulla sua “formazione permanente” come uomo di Dio. “La fede si rafforza donandola”2. Dal dono reciproco di una fede intensamente vissuta è nata la scuola di santità che continua a nutrire il cammino spirituale della Famiglia Salesiana in tutto il mondo.
L’armonia tra fede e vita sta al cuore del carisma di don Bosco, sul cui volto e nella cui storia si contempla “uno splendido accordo di natura e di grazia. Profondamente uomo, ricco delle virtù della sua gente, egli era aperto alle realtà terrestri; profondamente uomo di Dio, ricolmo dei doni dello Spirito Santo, viveva come se vedesse l’invisibile”3.
“Vivere nella fede” è oggi il dono più prezioso che possiamo scambiarci, qualunque sia il nostro stato di vita, età, vocazione e anche religione. Nella ecclesiologia di comunione che nutre e trasforma il cammino della Chiesa, e che è così intensamente messa in pratica e incoraggiata da Papa Francesco, l’identità di ogni gruppo e persona si realizza e si rivela nel diventare dono per gli altri, così come nel saper accogliere il dono di chi è chiamato a essere discepolo del Signore in qualsiasi stato di vita e vocazione.
Per quanti di noi siamo consacrati nella Famiglia Salesiana non è forse “vivere nella fede” il centro e il cuore di quello che siamo chiamati ad essere e offrire, incarnato nella specificità di ogni vocazione particolare e di ogni persona?
Se noi consacrati non siamo l’icona dell’“accordo di natura e di grazia”, dell’incontro fecondo tra la chiamata e l’amore di Dio e la generosa quotidiana risposta della sua libertà, su quale altro “tesoro nel campo” si potrà mai contare perché la vita abbia un senso, anzi pienezza di significato, così da diventare sale e luce, capace di dare sapore e illuminare l’esistenza di coloro che vivono con noi?
Il Sinodo sui Giovani ha mostrato con disarmante chiarezza che ciò che le nuove generazioni si attendono da quanti hanno dedicato la vita interamente al Signore è di trovare “testimoni luminosi e coerenti”4.
Ma dobbiamo dire lo stesso per i laici, i genitori, i giovani: se la fede è dono, dono è anche la vita di fede. Non è il risultato di grandi abilità personali e ferrea forza di volontà. Qualsiasi contributo nostro, che pure entra a far parte del dialogo tra grazia e libertà, non si colloca mai al di fuori dell’amore preveniente di Dio, della presenza tanto discreta quanto efficace dello Spirito, in ciascuno, nella comunità, nella Famiglia Salesiana, nella Chiesa, nel mondo, nella storia, nell’universo intero. Lo Spirito è forza creatrice ed è l’energia che porta a compimento, che dal granello di senape del Regno fa crescere il grande albero.
1.2. BUONI CRISTIANI vivendo nell’Ascolto del Dio che ci parla.
“Non c’è dono più grande che tu possa offrire ad un’altra persona di una perfetta attenzione”. Questa era la conclusione a cui era giunto un saggio missionario dopo tanti anni di servizio nella convulsa periferia di una grande città.
In tanti modi stiamo cercando di riscoprire la capacità di ascolto, arte fondamentale anche per l’accompagnamento personale. Imparare ad ascoltare è stato uno stimolo forte che il Sinodo sui Giovani ha offerto a tutta la Chiesa.
L’ascolto di Dio è un mistero che non si può contenere in qualche pratica o momento particolare. Si realizza “per opera dello Spirito Santo” e di solito non avviene per salti improvvisi, ma per la progressiva maturazione che si compie attraverso lunghi pellegrinaggi, come i tanti di cui ci parla la Scrittura e che si contemplano nelle vite dei nostri santi.
C’è una predisposizione all’ascolto di Dio, tanto più preziosa quanto più difficile nella maggior parte dei contesti sociali in cui viviamo, segnati da un eccesso costante di stimoli mediatici e da ritmi sempre più intensi di attività. La predisposizione preziosa è quella di ‘disporci al silenzio’.
Su questo sentiero cresce la coerenza tra quello che si ascolta e si annuncia e quello che si vive. E l’ascolto di Dio che ci parla richiede quotidiano esercizio, come fa un artista o un atleta nella specialità in cui eccelle.
1.3. BUONI CRISTIANI con il bisogno di Evangelizzare e offrire il primo annuncio e la catechesi “Questa società nel suo principio era un semplice catechismo” (MB IX, 61).
“Non diede passo, non pronunciò parola, non mise mano ad impresa che non avesse di mira la salvezza della gioventù… Realmente non ebbe a cuore altro che le anime”5. Questa testimonianza da parte di chi forse più di ogni altro ha conosciuto don Bosco e ‘fatto tutto a metà con lui ’, ci fa percepire in modo quasi sensibile l’intensità della carità pastorale del nostro padre. Non si è mai tirato indietro di fronte alle sfide più crude della povertà, iniziando dalle prigioni di Torino, dove il Cafasso lo aveva spinto ad entrare per ‘imparare a fare il prete’. Allo stesso tempo, non ha mai rinunciato a proporre le mete più alte di crescita spirituale a tutti, tanto a Magone come a Savio, adattandosi al cammino di ciascuno. Detto con il linguaggio di oggi: “Imitando la pazienza di Dio, incontriamo i giovani al punto in cui si trova la loro libertà”6.
È sorprendente la modernità di questo approccio pastorale, che sa camminare al fianco di ogni giovane, anche i più provati (pensiamo alle presenze della Famiglia Salesiana nei campi profughi o tra i migranti), e trovare proprio là il terreno buono per il seme del vangelo, senza proselitismi e senza paure, perché fede e vita non hanno mai ‘divorziato’ là dove si è rimasti fedeli al carisma che lo Spirito ha donato alla Chiesa con i nostri santi di famiglia.
“Ho insistito molto su questo in Evangelii gaudium e penso che sia opportuno ricordarlo. Da un lato, sarebbe un grave errore pensare che nella pastorale giovanile «il kerygma venga abbandonato a favore di una formazione che si presupporrebbe essere più “solida”. Non c’è nulla di più solido, di più profondo, di più sicuro, di più consistente e di più saggio di tale annuncio. Tutta la formazione cristiana è prima di tutto l’approfondimento del kerygma che va facendosi carne sempre più e sempre meglio». Pertanto, la pastorale giovanile dovrebbe sempre includere momenti che aiutino a rinnovare e ad approfondire l’esperienza personale dell’amore di Dio e di Gesù Cristo vivo. Lo farà attingendo a varie risorse: testimonianze, canti, momenti di adorazione, spazi di riflessione spirituale con la Sacra Scrittura, e anche con vari stimoli attraverso le reti sociali. Ma questa gioiosa esperienza di incontro con il Signore non deve mai essere sostituita da una sorta di “indottrinamento”7.
Veramente crediamo quanto è importante il primo annuncio? Guardiamo al mondo giovanile nel suo insieme: i rapidissimi cambi che viaggiano alla velocità del digitale creano una formidabile diversità di culture, di approccio alla vita nel suo insieme, con un ‘gap’ tra generazioni forse molto più profondo rispetto a quello delle epoche precedenti. Non è forse il mondo di chi è nato dopo l’anno 2000 una terra ancora da evangelizzare? Le generazioni delle reti sociali, già molto oltre ai giovani di questo millennio nati ai tempi di internet, sono in attesa di qualcuno che sia capace di portare loro per la prima volta la luce e la forza del Vangelo, parlando la loro lingua e sintonizzandosi sulle loro frequenze.
“Chi manderò? Chi andrà per noi?” (Is 6,8). Queste antiche parole di Isaia non potrebbero risultare più moderne se le pensiamo sulle labbra della intera comunità ecclesiale che si rivolge a noi, Famiglia Salesiana, come a coloro che per carisma, per dono dello Spirito, sono nati per essere specialisti dell’incontro con i giovani, pronti a stare con loro così come sono e dove sono, anche nelle diversità di credo religioso. Tirarsi indietro da questa sfida missionaria è come tirarsi fuori dalla Famiglia Salesiana, dallo spirito che Don Bosco ci ha trasmesso.
Don Bosco spesso ricordava che tutto è iniziato da “un semplice catechismo”. La sua storia, inseparabile da quella dei giovani con cui è vissuto, mostra con indubitabile chiarezza che semplice non significa affatto superficiale.
Quando si giunge alla “esperienza personale dell’amore di Dio e di Gesù Cristo vivo”, spesso sono i giovani stessi a diventare missionari e evangelizzatori di chi li accompagna, perché chiedono una testimonianza e condivisione della vita di fede autentica e profonda.
Qui sta il genio di Don Bosco: rimane accessibile a tutti, e insieme coi suoi giovani non teme di puntare dritto alla santità; nulla di meno.
E in questo cammino si apre un campo affascinante e impegnativo: fare della ‘catechesi’ non solo una serie di incontri per bambini e ragazzi necessari per accedere alla Prima Comunione o alla Cresima; fare della ‘teologia’ non solo una serie di esami che occorre sostenere per poter essere ordinati sacerdoti. Catechesi è crescere nella comprensione della vita illuminata dalla fede; teologia è entrare con la mente e col cuore nella bellezza del mistero di Dio così come si è rivelato in Gesù. Se come membri della Famiglia Salesiana ci lasciamo affascinare da questa “luce gentile” fino a innamorarcene, e riprendiamo a nutrire il cuore e la mente con questi tesori, anche il nostro modo di essere educatori-pastori si illuminerà. E dico di più: con questo cuore sapremo come esserci e come stare in mezzo ai giovani e alle famiglie che praticano altre religioni o che si professano agnostici o atei. L’atteggiamento sarà quello di una vera condivisione e di una testimonianza semplice nel più delicato rispetto delle diverse fedi.
Come agli inizi dell’Oratorio di Valdocco, la crescita nella fede può avvenire solo insieme: più è intenso il cammino spirituale di chi accompagna, più lo sarà anche quello dei giovani e della gente, che, ‘più per osmosi che per processi logici’, tenderà a seguirne le orme. Sarà a sua volta il cammino del suo popolo che spingerà chi fa da pastore a crescere sempre di più, a farsi più vicino alla sorgente per rispondere alla sete di chi gli chiede, spesso senza parole, di fargli incontrare il Signore.
1.4. BUONI CRISTIANI vivendo una vera spiritualità salesiana
A Pentecoste lo Spirito Santo dà inizio al tempo della Chiesa e della missione. Grazie allo Spirito la spiritualità e la missione vanno di pari passo. Non è possibile separare la missione dalla spiritualità né la spiritualità dalla missione. Per questa ragione, quando non riusciamo a vivere in modo integrato la missione e la spiritualità, molto probabilmente busseranno alla nostra porta la stanchezza e la confusione o il nostro accontentarci di “intrattenere” gli altri con le nostre attività, però senza arrivare a ‘toccare’ nel profondo la vita di ciascuno.
Tornare al primo amore
Oggi molti sociologi parlano della società della stanchezza. Papa Francesco dice che anche noi operatori pastorali possiamo vivere stanchi. Perché ci stanchiamo tanto? Qualcuno potrebbe dire che abbiamo l’agenda piena di impegni…, però “…il problema non sempre è l’eccesso di attività, ma soprattutto sono le attività vissute male, senza le motivazioni adeguate, senza una spiritualità che permei l’azione e la renda desiderabile.”8. Evidentemente la causa di tante stanchezze non dobbiamo cercarla nella nostra agenda ma in noi stessi, nella mancanza di motivazione e nella disconnessione con la quale viviamo la missione e la spiritualità.
Per curare questa stanchezza dobbiamo capirne le cause. Tornare al primo amore dà vita nuova. Ricordiamo come Don Bosco, negli ultimi anni della sua vita, vide anche lui che nell’Oratorio di Valdocco si era perso il primo amore. Perciò da Roma scrisse una lettera ai giovani e ai Salesiani dell’Oratorio dove metteva a confronto la vita e la gioia dei primi anni con la crisi che si stava vivendo. Nell’Oratorio si era persa la gioia, la vita, la fiducia. In conclusione, bisognava tornare al primo amore.
È vero che la parola spiritualità è di moda, però è altrettanto vero che questa parola è molto ambigua. Possiamo vedere un rifiorire del desiderio di spiritualità in luoghi e contesti molto diversi, sebbene molte delle proposte di spiritualità che oggi vanno di moda non abbiano niente a che vedere con Gesù e il suo Vangelo.
Nonostante questa ambiguità, bisogna riconoscere che il desiderio di spiritualità può essere la porta di ingresso verso la vita cristiana per quanti sono in ricerca. “In alcuni giovani riconosciamo un desiderio di Dio, anche se non con tutti i contorni del Dio rivelato. In altri possiamo intravedere un sogno di fraternità, che non è poco. In molti ci può essere un reale desiderio di sviluppare le capacità di cui sono dotati per offrire qualcosa al mondo. In alcuni vediamo una particolare sensibilità artistica, o una ricerca di armonia con la natura. In altri ci può essere forse un grande bisogno di comunicazione. In molti di loro troveremo un profondo desiderio di una vita diversa. Sono autentici punti di partenza, energie interiori che attendono con apertura una parola di stimolo, di luce e di incoraggiamento”9.
Questo atteggiamento di apertura ci porta a chiederci cosa stiamo facendo come Famiglia Salesiana a favore di questi giovani e adulti “in ricerca”. Quello che noi possiamo offrire è un po’ di luce e di incoraggiamento. Questa preoccupazione è urgente, soprattutto in quei contesti in cui i segni religiosi hanno perduto forza e vigore, anche se questi contesti si trovano ormai ovunque. Sapersi mettere in comunicazione con quelli che cercano significa aprire ponti di relazione. Forse è questo quello che chiede il Santo Padre quando dice “…lo sguardo attento di chi è stato chiamato ad essere padre, pastore e guida dei giovani consiste nell’individuare la piccola fiamma che continua ad ardere, la canna che sembra spezzarsi ma non si è ancora rotta (cfr Is 42,3). È la capacità di individuare percorsi dove altri vedono solo muri, è il saper riconoscere possibilità dove altri vedono solo pericoli. Così è lo sguardo di Dio Padre, capace di valorizzare e alimentare i germi di bene seminati nel cuore dei giovani. Il cuore di ogni giovane deve pertanto essere considerato “terra sacra”, portatore di semi di vita divina e davanti al quale dobbiamo “toglierci i sandali” per poterci avvicinare e approfondire il Mistero.10.” E riconosciamo bene in questo sguardo lo stile e il modo in cui il nostro amato padre Don Bosco si avvicinava e accompagnava i suoi ragazzi.
B.- Spiritualità cristiana
Nel vasto campo della spiritualità noi ci collochiamo all’interno della spiritualità cristiana. C’è una spiritualità cristiana fondamentale che nasce dal messaggio essenziale del Vangelo e che porta anche l’impronta dei valori più caratteristici di ciascun momento della storia all’interno della Chiesa. Non possiamo dimenticare che il Cristianesimo si incarna nella storia e punta a trasformare l’uomo concreto nella sua situazione culturale. Perciò la spiritualità cristiana deve rispondere alle necessità di ogni tempo e deve esprimersi con le categorie del tempo presente. E non c’è dubbio che questi valori che nascono dal Vangelo in tutti i contesti, in tutte le culture e in tutti i tempi, siano ponti molto preziosi di comunicazione, dialogo ed incontro con le altre religioni.
Il punto decisivo nella vita spirituale è scoprire il mistero di Dio nel mondo e nella nostra vita perché “Dio sta agendo nella storia del mondo, negli avvenimenti della vita, nelle persone che incontro e che mi parlano11.”. Qui troviamo il fondamento del discernimento. Perché Dio non sta in ozio ma è in azione, e la missione della Chiesa è fare in modo che ogni uomo e ogni donna incontrino il Signore che è già Presenza e agisce nelle loro vite e nei loro cuori. Da questo modo di intendere la missione la pastorale giovanile ha come obiettivo aiutare ogni giovane ad incontrarsi con il mistero di Dio che sta agendo nella storia, nella sua vita e nel suo cuore.
Don Bosco ha saputo sempre leggere gli avvenimenti della vita dalla prospettiva di Dio. Per vivere dalla prospettiva di Dio è necessario un centro vitale che unifichi la persona, dal momento che una persona spirituale è una persona solida, unificata e ben strutturata grazie all’azione dello Spirito Santo. In questo senso la persona spirituale è cosciente di essere figlio di Dio, possiede l’intelligenza della fede che gli permette di percepire il mistero di Dio e il senso del mondo e della storia, e vive la sua fede in una comunità di fratelli al servizio del Regno di Dio.
→ La santità come origine e meta della vita spirituale15 .
“Spero (dice Papa Francesco) che tu possa stimare così tanto te stesso, prenderti così sul serio, da cercare la tua crescita spirituale”16. Perché indubbiamente la spiritualità tocca la vita. Una vita fatta di sogni, esperienze, relazioni, progetti e scelte. Dobbiamo essere capaci di animare i nostri giovani a correre il rischio di sognare e di scegliere; a vivere intensamente e sperimentare; a gustare l’amicizia con Gesù; a crescere e maturare; a vivere la fraternità; ad impegnarsi; ad essere missionari coraggiosi.
C.- Spiritualità salesiana
Parliamo di una spiritualità salesiana, come espressione carismatica dentro il ‘grande fiume’ della spiritualità cristiana. Il sostantivo è la spiritualità cristiana e l’aggettivo è il concreto stile carismatico.
La Spiritualità Salesiana non si capisce senza comprendere l’esperienza spirituale di Don Bosco. Il nostro padre fu un sacerdote che si è dedicato all’educazione e all’evangelizzazione dei giovani, fondatore di diversi movimenti apostolici a favore della gioventù, e padre di una famiglia carismatica con una chiara e forte spiritualità apostolica.
Per questo la Spiritualità Salesiana trova le sue radici nell’esperienza spirituale che visse Don Bosco, che vissero i primi salesiani, le prime salesiane, i laici collaboratori e i giovani dell’oratorio. In questa tradizione spirituale vediamo un modo particolare di intendere la vita cristiana; l’azione educativa, pastorale e sociale; la proposta pedagogica e spirituale che chiamiamo Sistema Preventivo. La nostra Spiritualità presenta alcune peculiarità che le sono molto proprie: è una spiritualità del quotidiano, una spiritualità pasquale della gioia e dell’ottimismo, una spiritualità dell’amicizia e della relazione personale con Gesù, una spiritualità di comunione ecclesiale, una spiritualità mariana, una spiritualità del servizio responsabile che propone sempre, come ha fatto Don Bosco, la meta di essere “buoni cristiani e onesti cittadini”. Cerchiamo di promuovere la dignità di ogni persona e dei suoi diritti; esercitarsi a vivere con generosità in famiglia e favorire la solidarietà soprattutto con i più poveri; svolgere il proprio lavoro con onestà e competenza; promuovere la giustizia, la pace e il bene comune nella politica; rispettare il creato e favorire l’accesso alla cultura. Tutto questo fa parte della nostra spiritualità, del nostro modo di essere Famiglia Salesiana e messaggio evangelico secondo il carisma di Don Bosco nei diversi luoghi del mondo.
1.5 BUONI CRISTIANI di fronte alla sfida degli ambienti non cristiani, post-credenti o post-cristiani
Al contrario viviamo in un mondo dove incontriamo non solo giovani credenti, ma anche giovani che si stanno allontanando dalla fede, giovani che professano altre confessioni religiose e giovani che non ne professano nessuna.
Questa pluralità di situazioni ci permette di ricordare il mandato missionario ricevuto a Pentecoste. Dove ci invia Gesù? Non ci sono frontiere, non ci sono limiti: ci invia a tutti, dal momento che per il Vangelo non ci sono limiti né frontiere. Il Signore ci invia a tutti e la missione salesiana ci porta a tutti. “Non abbiate paura di andare e portare Cristo in ogni ambiente, fino alle periferie esistenziali, anche a chi sembra più lontano, più indifferente. Il Signore cerca tutti, vuole che tutti sentano il calore della sua misericordia e del suo amore. E ci invita ad andare senza paura con l’annuncio missionario, dovunque ci troviamo e con chiunque siamo, nel quartiere, nello studio, nello sport, quando usciamo con gli amici, facendo volontariato o al lavoro, è sempre bene e opportuno condividere la gioia del Vangelo”17.
È per questo che la missione è tanto stimolante quanto esigente. A cosa dobbiamo pensare per poterci avvicinare a livello pastorale anche ai giovani che si allontanano dalla fede e a coloro che professano altre religioni o che non ne professano nessuna? Ovvero, i contesti non cristiani o post-cristiani.
Alcuni pericoli ci minacciano
Nei contesti cristiani, come in quelli non cristiani o post-cristiani, dobbiamo evitare sia il fondamentalismo che il relativismo, così come l’esclusivismo e il sincretismo.
Il fondamentalismo, credendo di avere in tasca la verità, si chiude al dialogo, si fa ‘forte’ e intransigente nelle sue convinzioni, ma in modo reazionario e intollerante. Il relativismo a sua volta parte dalla convinzione che non vi siano certezze né verità cognitive o normative assolute. L’ambiente culturale postmoderno trova nel relativismo il proprio habitat naturale e vede come una aggressione insopportabile qualsiasi pretesa di verità. Né il fondamentalismo né il relativismo aiutano nella proposta pastorale.
L’Instrumentum Laboris dell’ultimo Sinodo sui giovani offre una pista interessante. “Non si tratta di rinunciare allo specifico più prezioso del cristianesimo per conformarsi allo spirito del mondo, né è questo che i giovani chiedono, ma occorre trovare il modo per veicolare l’annuncio cristiano in circostanze culturali mutate. In linea con la tradizione biblica, è bene riconoscere che la verità ha una base relazionale: l’essere umano scopre la verità nel momento in cui la sperimenta da parte di Dio, l’unico veramente affidabile e degno di fiducia”18. L’Instrumentum Laboris suggerisce di percorrere la strada relazionale e di potenziare una pastorale relazionale. Sembra ci stia indicando che la porta di ingresso sta nella cura delle relazioni. Sappiamo bene che il Sistema Preventivo di Don Bosco è sempre stato un esercizio pratico di questo principio relazionale.
L’altra faccia della moneta è il sincretismo. Una proposta pastorale sincretista si caratterizza per un miscuglio di proposte prese in prestito da diverse visioni del mondo. La proposta sincretista cerca sempre novità senza applicare alcun criterio di discernimento.
Viene da chiedersi se siano quindi possibili alcune proposte? Sì, lo sono:
→ Avere cura dei semi del Verbo
La prima proposta è quella di cercare e avere cura dei semi del Verbo. Il Concilio Vaticano II ha incoraggiato questa dottrina che, d’altra parte, si appoggia su una tradizione di molti secoli, già formulata nel II secolo da parte di un padre della Chiesa come San Giustino.
Tutte queste motivazioni sono anche di grande attualità e sensibilità sociale mondiale e di sicuro questo ci suggerisce che possiamo cominciare da ciò che è semplice.
→ Il dialogo
La seconda proposta pastorale in contesti non cristiani e post-cristiani deve essere il dialogo, e con questo torniamo alla nostra riflessione sul tema relazionale.
Sottolineo l’importanza del dialogo, che ha bisogno di altre abilità come quella di saper ascoltare, parlare in modo comprensibile, essere capaci di proporre esperienze di comunione. Il dialogo non consiste soltanto nel dare pareri. Quando dialoghiamo dobbiamo sforzarci di comprendere l’esperienza che l’altro vive e il pensiero che ha. È importante perciò favorire sempre un clima di rispetto di fronte alle innegabili differenze, così come riconoscere che il dialogo richiede umiltà per ammettere i propri limiti e fiducia per apprezzare le proprie ricchezze.
Il dialogo pastorale di cui parliamo è, innanzitutto, una conversazione sulla vita umana, in atteggiamento di apertura verso i giovani, condividendo le loro gioie e le loro fatiche, i loro desideri e le loro speranze, i loro valori religiosi, trattandosi di un esercizio di incontro personale e comunitario che ci arricchisce enormemente: “Così impariamo ad accettare gli altri nel loro differente modo di essere, di pensare e di esprimersi. Con questo metodo, potremo assumere insieme il dovere di servire la giustizia e la pace, che dovrà diventare un criterio fondamentale di qualsiasi interscambio”19.
→ Il valore della Testimonianza
Un’altra prospettiva non meno importante è quella che fa riferimento alla Testimonianza. Il valore della testimonianza basato sulla coerenza, l’impegno e la credibilità. I giovani ci possono perdonare molti errori però ci chiedono di essere coerenti, credibili, e impegnati a favore degli altri. Essi sono i testimoni del nostro tempo.
→ L’annuncio
Tale annuncio racchiude nella sua essenza le tre grandi verità del cristiano: Che Dio ci ama, che Cristo ci salva, e che lo Spirito dà vita e accompagna nella vita.
Come fare questo annuncio? Soprattutto con la certezza di sapere che l’annuncio si propone e rimane aperto affinché per la Grazia dello Spirito possa suscitare la fede. Inoltre, l’annuncio deve essere fatto con uno stile caratterizzato da prossimità e vicinanza, e deve essere personalizzato, pur trovandosi in gruppo o in comunità, deve cioè arrivare a ciascuna persona. Nessuna risorsa né strategia pastorale potrà mai sostituirlo.
“Ma adorate il Signore, Cristo, nei vostri cuori, pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi. Tuttavia, questo sia fatto con dolcezza e rispetto, con una retta coscienza” (1Pt 3,15-16a).
1.6. BUONI CRISTIANI decentrati da se stessi
La missione è una caratteristica dei discepoli del Signore. Ricordiamo che quando Papa Francesco descrive, nell’Esortazione apostolica Evangelii gaudium, le caratteristiche della spiritualità del discepolo missionario, pone il mandato missionario nel più profondo dell’essere umano. “La missione al cuore del popolo non è una parte della mia vita, o un ornamento che mi posso togliere, non è un’appendice, o un momento tra i tanti dell’esistenza. È qualcosa che non posso sradicare dal mio essere se non voglio distruggermi. Io sono una missione su questa terra, e per questo mi trovo in questo mondo”21. Il Santo Padre pone la missione al centro dell’esistenza.
a.- La tua vita per gli altri
“Quando un incontro con Dio si chiama “estasi”, è perché ci tira fuori da noi stessi e ci eleva, catturati dall’amore e dalla bellezza di Dio. Ma possiamo anche essere fatti uscire da noi stessi per riconoscere la bellezza nascosta in ogni essere umano, la sua dignità, la sua grandezza come immagine di Dio e figlio del Padre. Lo Spirito Santo vuole spingerci ad uscire da noi stessi, ad abbracciare gli altri con l’amore e cercare il loro bene”22.
Questo modo di intendere la vita aperta agli altri ci invita a passare dall’ ‘io’ all’‘Eccomi’. La cultura dell’io spiega molto bene il mondo in cui viviamo. Questa cultura offre grandi possibilità (crescita personale, autonomia, sviluppo della persona), ma nasconde anche grandi fragilità (persone che si tengono alla larga e che sono poco aperte agli altri, narcisismo, presentismo).
L’antropologia biblica presenta il credente come colui che è capace di dire ‘Eccomi’. Nella Scrittura vediamo che queste parole furono pronunciate in momenti significativi della vita da Abramo, Mosè, Samuele, Isaia, Maria di Nazareth, dallo stesso Gesù che, secondo la Lettera agli Ebrei, entrando in questo mondo disse: ‘Eccomi, Signore, io vengo per fare la tua volontà’. (Eb 10, 7).
Dando importanza al valore dell’‘io’, e non potrebbe essere altrimenti, possiamo intendere la vita cristiana come un cammino di trasformazione dall’ ‘io’ all’ ‘Eccomi’. Fare questo passo permette di aprirsi ad un mistero che trascende. Quando diciamo, con fede, ‘Eccomi’ si sta generando in noi un atteggiamento e una disposizione che apre l’esistenza allo Spirito Santo che guida e accompagna la nostra vita, per trovare il modo di essere e di vivere che più ci identifica come esseri umani. È l’essenza di ogni vocazione, con sguardo di credente in Gesù Cristo, e “la vita che ci dona è una storia d’amore, una storia di vita che desidera mescolarsi con la nostra e mettere radici nella terra di ognuno23.”
2. ONESTI CITTADINI
2.1. I giovani ci aspettano nella ‘casa della Vita’
Quando a Gesù presentavano le situazioni di quelli che “non erano dei nostri”, subito Egli rispondeva facendo suoi quelli che non erano esplicitamente contrari. Chi non è contro di noi, è con noi.
2.2. ONESTI CITTADINI educando i nostri giovani alla Cittadinanza e all’ impegno sociale.
Forse si tratta di uno dei ‘luoghi comuni’ sui quali talvolta ci basiamo per liberarci di questioni scomode, come quando si dice che Don Bosco non si metteva in politica indicando che la sua politica era quella del “Padre Nostro”. Giustamente bisogna chiarire di che politica si tratta.
Vale la pena riflettere su questo argomento e scoprire che portare nel campo della politica le indicazioni del Padre Nostro non fa che confermare l’impegno umano ed evangelico a favore di ciò che preoccupa le persone o che condiziona le loro vite. E più che dare un senso diverso al Padre nostro, riducendolo ad un vuoto spiritualismo, disinteressato alle cose “qui sulla terra”, si deve dare un senso a partire da Dio che cerca il bene e la felicità dell’umanità, di tutti i suoi figli e le sue figlie.
Non c’è vita cristiana autentica, potremmo dire, senza impegno sociale, ovvero senza giustizia e carità, senza servizio a favore degli altri, e soprattutto dei più bisognosi, dei più fragili, dei ‘senza voce’, degli abbandonati e degli scartati, così come non esiste il buon samaritano senza l’uomo bisognoso, o Don Bosco senza i giovani poveri, abbandonati e in pericolo.
Può essere che quella certa dicotomia che alcuni sottolineano fortemente tra il cammino di santità (vita spirituale) e l’impegno sociale (vita di cittadino) possa farsi concreta quando le mete sono la dignità del lavoro e lo sviluppo cristiano attraverso di esso, la fede dalle opere, l’impegno con i poveri e la giustizia sociale come esperienza coerente del Vangelo.
“Voglio incoraggiarti ad assumere questo impegno, perché so che «il tuo cuore, cuore giovane, vuole costruire un mondo migliore. Seguo le notizie del mondo e vedo che tanti giovani in tante parti del mondo sono usciti per le strade per esprimere il desiderio di una civiltà più giusta e fraterna. I giovani nelle strade. Sono giovani che vogliono essere protagonisti del cambiamento. Per favore, non lasciate che altri siano protagonisti del cambiamento! Voi siete quelli che hanno il futuro! Attraverso di voi entra il futuro nel mondo. A voi chiedo anche di essere protagonisti di questo cambiamento. Continuate a superare l’apatia, offrendo una risposta cristiana alle inquietudini sociali e politiche, che si stanno presentando in varie parti del mondo. Vi chiedo di essere costruttori del mondo, di mettervi al lavoro per un mondo migliore. Cari giovani, per favore, non guardate la vita “dal balcone”, ponetevi dentro di essa. Gesù non è rimasto sul balcone, si è messo dentro; non guardate la vita “dal balcone”, entrate in essa come ha fatto Gesù».
2.3. ONESTI CITTADINI educando i nostri giovani all’impegno nel servizio politico.
“La società che Don Bosco aveva in mente era una società cristiana, costruita sui fondamenti della morale e della religione. Oggi la visione della società si è trasformata: viviamo in una società secolare, costruita sui principi dell’uguaglianza, della libertà, della partecipazione, ma la proposta educativa salesiana conserva la sua capacità di formare un cittadino cosciente delle proprie responsabilità sociali, professionali, politiche, capace di impegnarsi per la giustizia e per promuovere il bene comune, con una speciale sensibilità e preoccupazione per i gruppi più deboli ed emarginati. Si deve, pertanto, lavorare per un cambio di criteri e per la visione della vita, per la promozione della cultura dell’altro, di uno stile di vita sobrio, di un atteggiamento costante di gratuità, della lotta per la giustizia e la dignità di ogni vita umana”25.
È un dato di fatto che, tutelati dalle ‘regole del gioco’, molti sistemi sociopolitici contemporanei dominino o sottomettano i cittadini più di quanto vorremmo o potremmo credere. I nostri ambienti educativi devono preparare i giovani a rispondere a simili questioni con senso politico e partecipazione civica responsabile. Mi domando:
→ Come Famiglia Salesiana, come possiamo essere cittadini salesianamente corresponsabili in questo tempo?
In un presente fragile e frammentato, dove la dimensione politica della vita si pensa molte volte sia connivente con la corruzione e la mancanza di etica, dove esiste l’anemia di una prassi che punta soprattutto all’individualismo, dobbiamo riproporci di educare i nostri giovani all’impegno nel servizio di una ‘cittadinanza onesta’ in ambito politico-sociale.
Tra le tante politiche (economiche, sociali, educative, sanitarie, internazionali..) possiamo scegliere come Famiglia Salesiana quella del “Padre Nostro”, quel del “pane quotidiano”, quella dei “piedi scalzi” nel “sempre” dei più poveri (Mc 14, 7), bisognosi della vera politica della giustizia e della carità. Vogliamo stare e dobbiamo continuare a stare dalla parte del “politicamente incorretto” perché scegliamo di prendere le parti di coloro che non hanno voce. Lo diceva Monsignor Romero: “La dimensione politica della fede si scopre e la si scopre correttamente piuttosto attraverso un’attività concreta a servizio dei poveri (…) che si incarna nel loro mondo, annuncia loro una buona notizia, dà una speranza, ne incoraggia i processi di liberazione, difende la loro causa e partecipa al loro destino”26.
Perciò, come educatori e come cristiani, come Famiglia Salesiana di Don Bosco oggi, aspiriamo ad un’azione politica che sia sociale: una azione che contribuisca alla solidarietà, alla fraternità umana, al vero incontro che accetta e rispetta l’altro, alla realizzazione del “Regno di Dio” qui e ora.
- la dignità e i diritti degli uomini, cercando sempre il bene integrale della comunità e della persona umana;
- la custodia e la tutela della dignità trascendentale della persona, fatta ad immagine di Dio;
- la promozione di uno sviluppo integrale, sostenibile e solidale di tutto l’umano e di tutti gli esseri umani;
- la globalizzazione della carità e della solidarietà, soprattutto verso i poveri, i deboli e gli esclusi, contro l’enorme bolla dell’indifferenza, dell’esclusione e dell’egoismo;
-
la realizzazione della fraternità come principio regolatore dell’ordine economico e dello sviluppo di tutte le potenzialità dei popoli;
la diffusione della sussidiarietà come partecipazione libera e responsabile dalle basi di una società democratica, dove tutti hanno voce e possono partecipare; -
la destinazione comune dei beni della terra, come cultura dell’incontro e della condivisione; anche la cura della casa comune, con una ecologia naturale e umana di convivenza, armonia, pace e benessere presente e futuro.
Come ci dice Papa Francesco: “Il futuro dell’umanità non è solo nelle mani dei politici, dei grandi leader, delle grandi aziende. Sì, la loro responsabilità è enorme. Ma il futuro è soprattutto nelle mani delle persone che riconoscono l’altro come un “tu”, e se stessi come parte di un “noi27”. Un noi che chiede di andare oltre il silenzio, oltre l’indifferenza, affinché tutti noi, cittadini di questo tempo, possiamo compiere la nostra missione nella comunità.
Questo sguardo non è estraneo a ciò che in essenza ci identifica come carisma salesiano. Come esempio serva quello delle Costituzioni e dei Regolamenti dei SDB quando si dice che: “la dimensione sociale della carità appartiene all’educazione della persona sociale e politicamente impegnata a favore della giustizia, della costruzione di una società più giusta e più umana, scoprendo in essa una ispirazione pienamente evangelica”28 , e allo stesso modo in tanti documenti dei diversi gruppi che fanno parte della nostra grande famiglia.
Per questa ragione continua ad essere un cammino indispensabile “avanzare nella direzione di una convalida aggiornata della ‘scelta socio-politico-educativa’ di Don Bosco. Questo significa formare una sensibilità sociale e politica che porta ad investire la propria vita come missione per il bene della comunità sociale, con un riferimento costante agli inalienabili valori umani e cristiani”29.
Questa è una sfida nella nostra educazione socio-politica delle giovani generazioni nella quale dobbiamo ancora crescere molto. “Essere onesto cittadino comporta oggi per un giovane che egli promuova la dignità della persona e i suoi diritti, in tutti i contesti; che viva con generosità nella famiglia e si prepari a formarla sulla base della reciproca donazione; che favorisca la solidarietà, specialmente con i più poveri; che sviluppi il proprio lavoro con onestà e competenza professionale; che promuova la giustizia, la pace e il bene comune nella politica; che rispetti la creazione e favorisca la cultura”30.
Questa è oggi, e sarà sempre, una grande sfida nel nostro essere educatori per rendere possibile una realtà che generi nuovi standard etici. Non possiamo accontentarci, perciò, che le nostre opere educative sfornino laureati ma non cittadini impegnati nel cambiamento, critici di fronte alle diverse realtà, competenti non solo per la “formazione” ricevuta ma capaci di “trasformazione” della stessa realtà come agenti di cambio e miglioramento, di speranza e rinnovamento nel mondo dell’economia, della politica, dell’educazione, del lavoro, dell’impegno sociale, dei mass media…., e per un mondo nuovo di cittadinanza attiva, protagonisti del bene comune. Come educatori della Famiglia Salesiana, consacrati e laici, dobbiamo continuare con convinzione questo cammino in modo che, piantato il seme, questo possa crescere nel tempo e diventare atteggiamento e stile di vita.
2.4. ONESTI CITTADINI educando i nostri giovani all’onestà e alla legalità.
Ci sono domande che mi sembra non possiamo smettere di farci quando pensiamo di educare e accompagnare i nostri giovani nella loro formazione come onesti cittadini capaci di vincere le tentazioni di ciò che è facile, del denaro guadagnato senza fatica né professionalità.
→Come possiamo offrire esperienze che li aiutino a guadagnare fiducia in se stessi e, allo stesso tempo, a riconoscere la rettitudine dei comportamenti?
Dovremmo essere capaci di educare alla verità che rende liberi, alla bellezza della trasparenza, senza doppie vite o autoinganni, senza cadere nelle forme di schiavitù che opprimono, o nelle risposte senza etica che debilitano la persona nella sua interiorità. Gesù lo visse in prima persona con l’onestà e la trasparenza del suo annuncio: restituendo la libertà ai prigionieri, la vista ai ciechi, la libertà agli oppressi e proclamando un anno di grazia del Signore (cf Lc 4, 18-19); lavando i piedi ai suoi come esempio di servizio agli altri, vivendo le “ricchezze insondabili” di amore e verità che gli costarono la vita sulla croce, davanti a tutti. Soffrì nella propria carne l’ingiustizia strutturale che corrompe a causa dell’egoismo, l’autoreferenzialità, la ricerca dei propri interessi e la menzogna che, ripetuta tante volte, diventa “verità” fino ad uccidere.
→ Cosa costruiamo con l’educazione e i valori evangelici in aspetti essenzialmente umani come la coscienza, la capacità critica, la denuncia a favore della verità, l’autenticità e la giustizia?
La corruzione è “un processo di morte” che è diventato consueto in tante società ed è, certamente, un vero male e un grave peccato (del quale non si parla), anche se, tuttavia, non può confondere la speranza portata dal Signore Gesù. Una speranza che dobbiamo seminare come forza in ciascuno dei nostri giovani. E sapendo che le scuole e le associazioni giovanili sono sempre strumenti di educazione civica, è di vitale importanza che chiunque si preoccupa per l’educazione e la società si chieda che tipo di cittadino presuppongono i nostri programmi educativi. Gli educatori oggigiorno subiscono enormi pressioni per ridurre l’educazione all’insegnamento e all’apprendimento di materie e alla preparazione di esami.
Mi piacerebbe pensare che la maggior parte degli educatori, almeno gli educatori delle presenze della Famiglia Salesiana nel mondo, credano che le scuole, al di là di insegnare ai bambini a leggere e scrivere, a risolvere problemi matematici e a capire la scienza e la storia, servano anche come una influenza meravigliosa nella visione del mondo e, pertanto, siano uno strumento importante e potente per dare forma alla nostra società, per cambiarla in meglio. È importante insegnare ai giovani a farsi domande, a mettersi in discussione e a mettere in discussione ciò che ci propongono come ideali di vita; ad esporre i propri punti di vista e le proprie prospettive; a prendere in considerazione i propri ambienti e le circostanze specifiche di vita, il proprio passato e i sogni per il futuro; a considerare se stessi cittadini attivi, disponibili, capaci, critici e ben attrezzati per influire nella vita pubblica.
Educare vuol dire tutto questo. “Educare vuol dire aiutare i singoli a ritrovare se stessi, accompagnarli con pazienza in un cammino di recupero di valori e di fiducia in sé; comporta la ricostruzione delle ragioni per vivere scoprendo una nuova visione della vita più positiva. Educare dice anche una rinnovata capacità di dialogo, ma anche di proposta ricca di interessi e saldamente ancorata a quello che è essenziale per una vita migliore; coinvolgere i giovani in esperienze che li aiutino a cogliere il senso dello sforzo quotidiano; offrire strumenti fondamentali per guadagnarsi da vivere, rendendoli capaci di agire da soggetti responsabili in ogni circostanza. L’educare richiede di conoscere le problematiche sociali giovanili del nostro tempo”32 .
2.5. ONESTI CITTADINI sensibili e corresponsabili in un mondo in movimento e migrazione
Permettetemi, a titolo esemplificativo di ciò che voglio sostenere, di fare riferimento a quanto ho vissuto io stesso nelle diverse visite di questi anni. Sono rimasto molto ammirato dall’enorme creatività e dall’impegno dei miei confratelli e della Famiglia Salesiana, che hanno saputo dare risposte al fenomeno impressionante dei nostri giorni che è la migrazione umana. L’ho constatato a Kakuma, un campo di rifugiati nel nord del Kenya che accoglie circa 190.000 persone. I miei confratelli SDB sono l’unica istituzione autorizzata a vivere dentro lo stesso campo, prendendosi cura integralmente dei giovani provenienti da varie parti dell’Africa, soprattutto dal Sud Sudan e dalla Somalia, attraverso la formazione professionale, l’oratorio e il centro giovanile, e le attività educativo-pastorali. L’ho visto anche nella significativa presenza di Tijuana, in Messico. In quella frontiera tra il sud e il nord economico del mondo, con la mensa e la rete di oratori, rispondono ai bisogni di centinaia di giovani in cerca di futuro, li accompagnano e prevengono il pericolo della violenza e della droga, offrendo opportunità educative. Anche nella nostra comunità del ‘Sacro Cuore’ di Roma abbiamo un piccolo ma dinamico centro giovanile, frequentato da giovani universitari e volontari, che in un ambiente oratoriano accolgono giovani migranti e rifugiati di diverse parti del mondo. Così potremmo percorrere tutto il mondo della nostra Famiglia Salesiana e trovare da tutte le parti risposte creative ai bisogni dei giovani migranti, dal momento che questa sensibilità nasce dal nostro DNA salesiano. Credo di poter affermare, senza paura di sbagliarmi, che siamo figli e figlie di un emigrante, che accolse emigranti e inviò i suoi figli missionari a prendersi cura di emigranti.
Il fenomeno
Un capitolo particolare e più drammatico è quello dei 70.8 milioni di persone costrette a migrare: 41,3 milioni di migranti, soprattutto persone che per conflitti bellici, hanno dovuto migrare all’interno del proprio Paese. Quelli che abbandonano il loro paese sono 25,9 milioni di rifugiati, più 3,5 milioni di persone richiedenti asilo. Questi sono i dati ufficiali dell’ONU, pur sapendo che i numeri potrebbero essere ancora superiori. La metà di questi migranti forzati sono minori di 18 anni. Sono stati calcolati 111.000 minori senza famiglia, non accompagnati. Sempre più i rifugiati vivono nelle città (61%), essendo più invisibili.
Don Bosco
“Perché son quasi tutti forestieri, i quali rimangono abbandonati dai parenti in questa città, o qui venuti per trovare lavoro, che non poterono avere. Savoiardi, Svizzeri, Valdostani, Biellesi, Novaresi, Lombardi sono quelli che per ordinario frequentano le mie adunanze. […] la lontananza dalla patria, la diversità di linguaggio, l’incertezza del domicilio, e l’ignoranza dei luoghi rendono difficile, per non dire impossibile, l’andare alle parrocchie… ”33.
L’avventura missionaria salesiana comincia con l’attenzione agli emigranti italiani in Argentina. Don Bosco esortò così la prima spedizione missionaria del 1875:
“Andate, cercate questi nostri fratelli, cui la miseria o la sventura portò in terra straniera, e adoperatevi per far loro conoscere quanto sia grande la misericordia di quel Dio, che ad essi vi manda pel bene delle loro anime”.34
Quindi il fenomeno migratorio, in un modo o nell’altro, è sempre stato presente nella nostra storia salesiana. La sfida della migrazione umana giovanile è oggi molto più estesa e complessa a causa della sua dimensione culturale, sociale, religiosa, a causa del suo grande impatto demografico, e i nuovi aspetti legati alle tecniche di informazione, globalizzazione, facilità di trasporti. Di fronte a questa realtà una pastorale di comunione (più inclusiva ed integrante) si rende più necessaria rispetto a quella tradizionale, etnico-nazionale dell’attenzione ai connazionali. Anche noi ci troviamo di fronte a fenomeni nuovi e drammatici come quello dei rifugiati, dei minori non accompagnati e la tratta di persone. Tutto questo pone grandi sfide alla nostra Famiglia Salesiana di fronte a questo nuovo ‘continente giovanile’ del secolo XXI^.
Visione di futuro
→ Mantenendo il nostro approccio educativo-evangelizzatore, evitando di essere ridotti ad una ONG. Il soggetto della missione è affidato ad una comunità educativa in comunione di vita tra consacrati e laici competenti per questa delicata missione.
→ Con una presenza sempre più coordinata, più istituzionale, più visibile e professionale. Si tratta di una grande opportunità di intervento per la Famiglia Salesiana, dove ciascun gruppo può mettere a disposizione i propri doni per la missione. Il volontariato missionario e il Movimento Giovanile Salesiano trovano un immenso orizzonte di impegno con questa Gioventù in movimento.
Questo continente in movimento ci interpella con forza nel secolo XXI proponendoci che la loro esistenza possa essere motivo per tutti noi di una vera fonte di rinnovamento pastorale, carismatico e vocazionale.
2.6. ONESTI CITTADINI che si prendono cura della casa comune come ci chiedono i giovani
Quando parliamo di cura della casa comune o di cura del Creato, non siamo di fronte ad una scelta opzionale, bensì ad una questione essenziale di giustizia, dal momento che la Terra che abbiamo ricevuto appartiene anche a coloro che verranno dopo di noi. L’ambiente è un prestito che ogni generazione riceve e che deve trasmettere alle generazioni successive.
Alcune proposte pastorali
→ Conversione ecologica
La prima proposta ha molto a che vedere con un cambio di mentalità e di sguardo sulla realtà. Papa Francesco ci invita a “prendere dolorosa coscienza, osare trasformare in sofferenza personale quello che accade al mondo.”36 Per questo dobbiamo adottare una spiritualità radicalmente nuova, una spiritualità in cui il nostro impegno per la cura della Terra è intenso ed efficace nella misura in cui si radica in una conversione ecologica effettiva.
Siamo chiamati ad andare alle radici etiche e spirituali dei problemi ambientali, che ci invitano a cercare soluzioni non solo utilizzando delle tecniche, ma anche cambiando come esseri umani. Ognuno deve passare dal consumo al sacrificio, dall’avidità alla generosità, dallo spreco alla capacità di condividere, da “ciò che voglio io” a “ciò di cui ha bisogno il mondo di Dio”.
→ Accompagnare il protagonismo giovanile nell’impegno per la casa comune
Molto probabilmente ciò che nessuno avrebbe potuto immaginare, e tanto meno i ‘grandi e potenti di questo mondo, è che la più grande reazione e protesta potesse venire dai giovani e in un movimento quasi mondiale. Ci sono giovani nel mondo molto preparati sulle questioni ecologiche e che esercitano una cittadinanza attiva per la salvaguardia della casa comune.
- Greta Thunberg, giovane attivista svedese di 16 anni, ha detto ai leader mondiali radunati a New York per il Summit ONU sul clima del 2019: Avete rubato i miei sogni e la mia infanzia con le vostre parole vuote. Siamo all’inizio di un’estinzione di massa e tutto ciò di cui si può parlare è denaro e fiabe di una crescita economica eterna. Come osate! Ci state deludendo. Ma i giovani cominciano a capire il vostro tradimento37.
- Queste parole forti stanno sfidando i leader e cambiando le prospettive degli adulti e guidando un vasto movimento di giovani per salvare la casa comune. La ‘Generazione Laudato Si’ ne è un esempio concreto. È il “Settore Giovani” del Movimento Cattolico Mondiale per il clima, una rete internazionale di oltre 800 organizzazioni cattoliche. Esse si stanno mobilitando per la giustizia climatica e per chiedere alla Chiesa e al mondo di agire. In qualità di membri attivi di questa rete internazionale, rappresentano la Famiglia Salesiana i gruppi ‘Don Bosco Green Alliance’ e il ‘Movimento Giovanile Salesiano’.
- Come educatori dei giovani, noi accompagniamo non solo chi si è già messo le scarpe ma anche ci preoccupiamo di quanti sono stesi sul divano davanti alla finestra, o allo schermo. Allo stesso tempo, ricordiamo bene che i giovani sono bravissimi a stimolare i loro coetanei, a mettergli le scarpe38.
→ Verso una ecologia umana
L’ecologia ambientale intrinsecamente ci spinge a riflettere sull’ecologia integrale. Dagli anni 1970, da Papa San Paolo VI ai vari Papi che si sono susseguiti nel tempo, tutti hanno sempre insistito su questo aspetto. ‘L’ecologia umana’ è un termine introdotto da papa San Giovanni Paolo II nella sua lettera enciclica Centesimus Annus39. Recuperando questa parola, Papa Francesco dice che ‘la distruzione dell’ambiente umano è qualcosa di molto serio, non solo perché Dio ha affidato il mondo all’essere umano, bensì perché la vita umana stessa è un dono che deve essere protetto da diverse forme di degrado40.
→ L’opera educativa e culturale
- San Giovanni Paolo II, di fronte alla crisi ecologica, parlava già della necessità e dell’urgenza41 di una grande opera educativa e culturale.
- Le nostre proposte educative per la cura della casa comune prevedono le tre fasi dell’Informare, Educare e Fare cultura42 .
- Di fronte al fenomeno del consumismo, bisogna ricordare ai giovani delle nostre realtà tre principi (3R : ridurre, riutilizzare e riciclare.
- Noi sappiamo bene che le tematiche ecologiche sono conseguenza delle strutture ingiuste. Per affrontarle abbiamo bisogno delle strutture virtuose di grazia, di riconciliazione, di guarigione, e di ecologia ambientale, umana, sociale e integrale43. Sono queste le strutture che noi come educatori dobbiamo proporre ai giovani.
- Per iniziare dei percorsi che portino ad una cittadinanza ecologica ci sono riflessioni fondamentali molto vicine alla nostra sensibilità salesiana. Per esempio, il nostro confratello Joshtrom Isaac Kureethadam lavora nel Dicastero della Chiesa che si occupa di questo aspetto. Nel suo libro I Dieci Comandamenti Verdi troviamo tanti spunti per continuare a sviluppare nei nostri giovani una grande sensibilità verso il Creato, per sognare e fare diventare realtà quanto i nostri governanti non vogliono prendere sul serio per motivi economici e interessi vari.
2.7 Nella difesa dei diritti umani e specialmente dei diritti dei minori
Sento un’urgente necessità di fare un forte richiamo alla nostra Famiglia perché, nel presente e nel futuro, possiamo distinguerci per la difesa di ogni minore. L’essenza del messaggio che voglio trasmettere è proprio questa:
Non possiamo essere complici di nessun abuso, intendendo con questo l’abuso di «potere economico, di coscienza, sessuale» – come è stato definito in occasione del Sinodo su I giovani, la fede e il discernimento vocazionale44.
Mentre la società civile opera in modi diversificati a difesa dei diritti umani, noi, Famiglia di Don Bosco, così come la Chiesa, siamo chiamati oggi a recuperare la dimensione oggettiva dei diritti umani, basata sul riconoscimento della “dignità inerente a tutti i membri della famiglia umana, [che] costituisce il fondamento della libertà della giustizia e della pace nel mondo45”. Senza una tale visione, si instaura un cortocircuito dei diritti e si favorisce “la globalizzazione dell’indifferenza che nasce dall’egoismo, frutto di una concezione dell’uomo incapace di accogliere la verità e di vivere un’autentica dimensione sociale46”. La tentazione moderna è di sottolineare molto la parola “diritti”, tralasciando quella più importante: “umani”. Se i diritti perdono il loro nesso con l’umanità, diventano solo espressioni di gruppi di interesse.
- Per Don Bosco il ragazzo emarginato non è un beneficiario passivo, un semplice destinatario a cui dare assistenza o offrire servizi. Don Bosco auspica una nuova visione del ragazzo emarginato: una relazione educativa tra educando ed educatore, che anticipa la visione del ragazzo come soggetto di diritti, che la Convenzione di New York ha sancito per la prima volta trent’anni fa, il 20 novembre 1989, come strumento di diritto internazionale oggi legalmente vincolante per 193 Stati.
- I diritti dei minori e il Sistema Preventivo hanno in comune alcuni principi di base. Entrambi hanno lo stesso obiettivo, cioè lo sviluppo integrale e il benessere totale dei bambini. Sia i diritti dei bambini che il Sistema Preventivo hanno alcuni compiti da svolgere per poter realizzare i loro obiettivi a favore dei bambini. Questi compiti comprendono la cura integrale delle persone, la formazione di personale responsabile, la creazione di un ambiente sano, lo sviluppo di linee guida per una disciplina positiva e la formulazione di protocolli per la protezione dei minori.
In difesa dei diritti dei minori
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1.- Dal 21 al 24 febbraio 2019 si è svolto il ‘summit’ della Conferenza Episcopale Cattolica del mondo su ‘La protezione dei minori nella Chiesa’. Vi hanno partecipato 190 leader ecclesiastici e i presidenti di 140 Conferenze Episcopali. Nell’incontro Papa Francesco ha detto che in docilità allo Spirito Santo, dobbiamo sentire il grido dei piccoli che chiedono giustizia. Sappiamo bene che ogni scandalo può rendere invisibile la luce del Vangelo47, e l’abuso di potere e di coscienza fanno tanto male e sono pericolosissimi.
- 2.- Non possiamo parlare di diritti dei minori senza fare riferimento alla ‘Convenzione sui Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza’ delle Nazioni Unite, che definisce un fanciullo come ogni essere umano di età inferiore ai diciotto anni e fornisce uno standard per la cura e la protezione, l’identificazione, la gestione dei casi, il reporting e il rinvio. Identifica quattro aspetti dei diritti dei bambini: la partecipazione dei bambini alle decisioni che li riguardano; la protezione dei bambini contro la discriminazione e tutte le forme di abbandono e sfruttamento; la prevenzione dei danni e l’assistenza ai bambini nei loro bisogni fondamentali.
- 3.- Nel nostro Progetto Educativo Pastorale, l’ascolto dei minori è importante e vitale, come spesso ribadito dal Sinodo48. Esso apre la strada alla piena partecipazione. E la partecipazione contribuisce allo sviluppo personale, porta a migliori decisioni e risultati, serve a proteggere i minori, contribuisce alla preparazione e allo sviluppo della società civile, alla tolleranza e al rispetto per gli altri e rafforza la responsabilità.
- 4.- Conoscenza e riflessione più approfondita sui diritti dei minori: si tratta di molti documenti e dichiarazioni costantemente pubblicati sui diritti umani e soprattutto sui diritti dei minori. Alcuni sono a livello ecclesiale e globale, altri sono a livello di regione o a tema specifico49. L’ignoranza di questi documenti ci impedirà sicuramente di essere degli educatori efficaci. Quindi dobbiamo studiarli a fondo e diffonderli nelle nostre realtà.
- 5.- Lavorare in rete con altre agenzie: nella missione di protezione e promozione dei diritti dei minori, abbiamo bisogno di fare rete con molte altre agenzie che lavorano con un ‘approccio basato sul diritto’. Ce ne sono veramente tante, governative e non governative. In alcune Ispettorie del mondo alcuni Salesiani fanno parte del “Consiglio di Giustizia Minorile” (Juvenile Justice Board), attraverso il quale sono in grado di difendere e proteggere i diritti dei minori. Ci sono altri Salesiani che sono avvocati e che difendono i diritti dei minori nei tribunali civili e ottengono giustizia per loro. Questa è un’ottima piattaforma per diffondere i valori evangelici nei settori secolari.
- 6.- Il ‘Sistema di protezione dell’infanzia’, è definito dall’UNICEF come “l’insieme di leggi, politiche, regolamenti e servizi necessari in tutti i settori sociali per sostenere la prevenzione e la risposta ai rischi connessi alla protezione”. Tante delle nostre presenze sono interamente dedicate ai servizi sociali e ai centri per giovani a rischio. Questo deve continuare ad essere, come Famiglia Salesiana, il nostro ‘piccolo ma grande’ contributo.
- 7.- È indispensabile che in ogni Opera della nostra Famiglia nel mondo ci sia un “Codice Etico” che definisca molto chiaramente ciò che ci si aspetta da tutti, dai consacrati, dalle consacrate, dagli educatori laici, e che stabilisca chiaramente anche ciò che costituisce grave violazione del Codice Etico stesso.
- 8.- Infine, ma si tratta di un aspetto fondamentale in quanto persone consacrate, ciò che deve essere rafforzato è il nostro rapporto personale e comunitario con Cristo. La sua compagnia dovrebbe ispirarci a lavorare di più per proteggere i bambini e i minori che Lui tanto ama e che ha indicato come modelli di discepolato.
- Il sistema preventivo e i diritti umani: Due proposte
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- Insieme stiamo facendo tante cose buone e belle per la promozione dei diritti umani. Per essere più efficaci in questo ministero dobbiamo però cambiare strategia nel nostro modo di pensare e di agire. Dobbiamo diventare una Famiglia di Don Bosco che sostiene la dimensione sociale della carità50 e promuove i diritti umani attraverso un uso creativo del Sistema Preventivo. Questo è il necessario cambio di paradigma.
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- Passare dal vedere il Sistema Preventivo semplicemente come un’alternativa al Sistema Repressivo, a vederlo come un eccellente strumento per promuovere i diritti umani: Finora tante volte siamo stati abituati a considerare il Sistema Preventivo solo come un sistema di educazione diverso dal Sistema Repressivo. Non abbiamo prestato tutta l’attenzione al suo potenziale in materia di diritti umani. Dobbiamo studiare ed elaborare il suo potenziale intrinseco per la promozione dei diritti umani e utilizzarlo per gli stessi.
- Passare dalla formazione della legge che rispetta i cittadini ai diritti che rivendicano i cittadini: Abbiamo sempre enunciato uno degli obiettivi dell’educazione come formazione di onesti cittadini e abbiamo capito che ciò significa formare cittadini rispettosi della legge. Questo non sarà sufficiente nel futuro in un mondo sempre più complesso. Dobbiamo educare i giovani a rivendicare i loro diritti; infatti se i diritti non vengono rivendicati, è molto probabile che vengano ignorati51.
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Concludo questa lunga narrazione nella quale ho fatto riferimento a tanti aspetti, a mio giudizio molto importanti e della massima attualità, dando la parola allo stesso Don Bosco. Tra le tante possibili citazioni ho scelto il discorso che ha indirizzato agli ex-allievi che il 15 luglio 1883 erano ritornati all’Oratorio per festeggiare Don Bosco. Incredibilmente, una buona parte del discorso di Don Bosco si riferisce alla politica. Penso che sia molto illuminante e molto in sintonia con quanto ho sviluppato fino a qui. Dice così:
Questa è la politica nostra; di questa solo ci siamo occupati sinora, di questa ci occuperemo in avvenire. ”52.
Con la mediazione materna di nostra Madre, Immacolata ed Ausiliatrice, chiediamo a Dio Padre che ci conceda il suo Spirito per continuare a fare una vera politica del Padre Nostro per i giovani di oggi, in una società che ci esorta, davanti alle sue disuguaglianze, a non restare zitti o passivi, e in un mondo sempre bisognoso di Dio, sempre più dobbiamo essere Testimoni-Discepoli-Missionari del Dio che, rispettando così scrupolosamente la libertà umana, ogni giorno è disposto all’Incontro con i suoi figli e le sue figlie.
Per questo preghiamo:
e dacci la forza per trasformare in vita ed in opere le tue parole.53
Rettor Maggiore
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