LA SANTITÀ ANCHE PER TE
E lo faccio commentando un tema a noi molto familiare, che già nel titolo riprende letteralmente l’Esortazione Apostolica di papa Francesco sulla chiamata alla santità nel mondo contemporaneo: Gaudete et Exsultate[1].
Scegliendo questo tema e questo titolo, intendo tradurre nel nostro linguaggio e alla luce della nostra sensibilità carismatica, il forte appello alla santità che papa Francesco ha rivolto a tutta la Chiesa[2]. Pertanto desidero fare quelle sottolineature che sono tipicamente “nostre” nel quadro della nostra spiritualità salesiana, quella condivisa da tutti i 31 gruppi della nostra Famiglia Salesiana come eredità carismatica ricevuta dallo Spirito Santo per mezzo del nostro amato Padre Don Bosco, il quale senza dubbio ci aiuterà a vivere con la stessa gioia profonda che ci viene dal Signore: «Perché la mia gioia sia in voi» (Gv 15,11).
A chi sono rivolte queste parole?
E a tutti gli adolescenti e giovani del nostro grande mondo salesiano.
Come negli anni precedenti, ritengo che, oltre alla lettura personale, queste indicazioni siano sufficienti e possano servire come “spunti” per la proposta educativa pastorale dei diversi contesti e situazioni del nostro “mondo salesiano”, nei quali operiamo.
I. DIO CHIAMA TUTTI ALLA SANTITÀ
Quindi è degno di ammirazione e persino “audace” lo sforzo del Papa di presentare la perenne attualità della santità cristiana che, nella sua qualità di chiamata proveniente da Dio stesso nella sua Parola, è proposta come meta per il cammino di ogni persona. Dio stesso «ci vuole santi e non si aspetta che ci accontentiamo di un’esistenza mediocre, annacquata, inconsistente» (GE, 1).
Non si tratta di una santità per pochi eroi o per persone eccezionali, ma di un modo ordinario di vivere l’ordinaria esistenza cristiana: un modo di vivere la vita cristiana incarnata nel contesto attuale, con i rischi, le sfide e le opportunità che Dio ci offre nel camino della vita.
La Sacra Scrittura ci invita a essere santi: «Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste» (Mt 5,48); e: «Siate santi, perché io [il Signore] sono santo» (Lev 11,44).
Anche san Paolo, nella lettera agli Efesini, scrive, riferendosi al Padre: «In [Cristo il Padre] ci ha scelti prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità, predestinandoci a essere per lui figli adottivi mediante Gesù Cristo, secondo il disegno d’amore della sua volontà, a lode dello splendore della sua grazia, di cui ci ha gratificati nel Figlio amato» (Ef 1,4-6). Non più servi, dunque, ma amici (cf. Gv 15,15). Non più stranieri né ospiti, ma concittadini dei santi e familiari di Dio (cf. Ef 2,19). Pertanto tutti e ciascuno siamo chiamati alla santità: essa è la vita piena e riuscita, secondo il disegno di Dio, nella piena comunione con Lui e con i fratelli.
In definitiva, la santità è la vita secondo le beatitudini, per divenire sale e luce del mondo; cammino di profonda umanizzazione, come è ogni autentica esperienza spirituale. Perciò diventare santi non esige di alienarsi da sé o di allontanarsi dai propri fratelli, ma di vivere una intensa vita coraggiosa, umanizzante, e una esperienza (talvolta faticosa) di comunione e di relazione con gli altri.
“Farsi santi” è il primo e il più urgente compito per un cristiano
Gesù, Verbo fatto carne, è la piena e definitiva parola del Padre. Dall’istante dell’incarnazione, la volontà di Dio si incontra nella persona di Cristo. Egli ci mostra, nella sua vita, nelle sue parole e nei suoi silenzi, nelle sue scelte e nelle sue azioni, e soprattutto nella sua passione, morte e risurrezione, qual è il progetto di Dio per l’uomo e la donna, qual è la sua volontà e il modo di corrispondervi.
Questo progetto di Dio per ciascuno di noi oggi è semplicemente la pienezza della vita cristiana che si misura sulla statura che Cristo raggiunge in noi, e dal grado in cui, con la grazia dello Spirito Santo, modelliamo la nostra vita secondo quella di Gesù il Signore. Non significa, dunque, realizzare cose straordinarie ma vivere uniti al Signore, facendo nostri i suoi gesti, i suoi pensieri e comportamenti. Di fatto anche accostarsi all’Eucaristia significa esprimere e testimoniare che desideriamo assumere e fare nostro lo stile, il modo di vivere e la stessa missione di Gesù Cristo.
Lo stesso Concilio Vaticano II, nella Costituzione sulla Chiesa, ha proclamato con decisione la chiamata universale alla santità, affermando che nessuno ne è escluso: «Nei vari generi di vita e nei vari compiti una unica santità è coltivata da quanti sono mossi dallo Spirito di Dio e, obbedienti alla voce del Padre e adorando in spirito e verità Dio Padre, camminano al seguito del Cristo povero, umile e carico della croce, per meritare di essere partecipi della sua gloria» (LG, 41).
La “santità della porta accanto” e la chiamata universale alla santità.
Edith Stein, ancora atea, scrive di avere ricevuto una spinta decisiva verso la conversione da due incontri: quello con la moglie di un amico ucciso in guerra, la quale, rimasta vedova, pur nel lacerante dolore, attestava la sorprendente luce e forza della fede; e quello in una chiesa (dove Edith si trovava solo per interesse artistico) con un’anziana signora, entrata con le borse della spesa, nel bel mezzo di una giornata piena di impegni, per vivere un momento di intensa confidenza e adorazione di Gesù Eucaristia.
Don Bosco ha avuto come mamma e prima maestra Margherita Occhiena: una semplice contadina priva di istruzione, senza alcuna preparazione teologica, ma con l’intelligenza del cuore e l’obbedienza della fede.
Santa Teresa di Lisieux diceva che da piccola non capiva molto di quanto diceva il sacerdote, ma che le bastava guardare il volto di papà Louis per capire tutto.
Nessuno di questi laici – Anna Reinach amica di Edith, l’ignota signora con le borse della spesa, mamma Margherita o papà Louis Martin – ha mai pensato nella propria vita di essere santo, né si è accorto dell’influsso esercitato sulle persone circostanti con il suo modo di agire ordinario.
Vivere la santità è, allora, l’esperienza di essere preceduti e salvati e imparare a corrispondere a questo amore fedele. È la responsabilità di rispondere a un dono grande.
La devozione dev’essere praticata in modi diversi dal gentiluomo, dall’operaio, dal servo, dal principe, dalla vedova, dalla nubile e dalla sposata. E non basta questo, ma è necessario che la pratica della devozione sia adattata alle forze, alle occupazioni e ai doveri di ognuno in particolare. […] In qualunque stato ci troviamo, si può e si deve aspirare alla vita perfetta»[6].
Si può affermare con certezza che in tutte le epoche della storia della Chiesa e a tutte le latitudini ci sono stati, e ci sono, santi di tutte le età, di tutte le condizioni di vita, con caratteristiche molto diverse gli uni dagli altri.
Sicuramente ritroviamo tutto questo nel modo in cui tante persone hanno incarnato la via cristiana nella loro vita. Alcuni possono sembrare “piccoli” e altri “grandi”; ma tutti hanno percorso un cammino attraente e affascinante.
Lo stesso papa Benedetto conclude con una preziosissima espressione che, a mio giudizio, può riassumere magnificamente il messaggio della Strenna di quest’anno, quando dice: «Cari amici, come è grande e bella, e anche semplice, la vocazione cristiana vista in questa luce! Tutti siamo chiamati alla santità: è la misura stessa della vita cristiana»[8].
Maria di Nazareth: una singolare luce nel cammino di santità
Tutti questi percorsi semplici e molto spesso anonimi di santità hanno sempre un modello verso cui guardare e nel quale riflettersi. La santità cristiana ha in Maria di Nazareth, la Madre del Signore, del Figlio di Dio, il modello più bello e più vicino.
Maria è la donna dell’“Eccomi”, della piena e totale disponibilità alla volontà di Dio. Dicendo: «Avvenga per me secondo la tua parola» (Lc 1,38), Maria dichiara di trovare la piena e profonda felicità in tutto ciò che quel “fiat” supponeva nella fede. Non solo quando il Figlio lascia la casa e si separa da lei perché deve svolgere la missione del Padre; ma anche nel momento estremo in cui Maria sperimenta il dolore per la Sua crocifissione e morte. Un dolore atroce vissuto come madre.
Per tale ragione è impensabile che il facile cammino di santità possa essere percorso dal cristiano senza guardare a Maria come Madre. Contemplarla è imparare a credere, imparare a sperare, imparare ad amare. E se pregheremo come lei e con lei, sperimenteremo certamente nel nostro cammino quotidiano quella consolazione che può venire solo da Dio. Inoltre, invocandola come Madre del Figlio di Dio, apriremo i nostri cuori al dono della sua intercessione come Madre del Figlio e dei suoi figli[10].
Con sensibilità salesiana…
Nella sapienza di Don Bosco, il quale moderava il desiderio penitenziale di Domenico e gli raccomandava piuttosto fedeltà alla vita di preghiera, studio e doveri ben fatti, e assiduità alla ricreazione (e diciamo pure all’intera dimensione della vita di relazione), emergeva la consapevolezza, tipicamente salesiana, della chiamata universale alla santità.
In questa «scuola di nuova e attraente spiritualità apostolica»[15], Don Bosco legge il vangelo con originalità pedagogica e pastorale, la quale «comporta essenzialmente una “sintesi nuova”, equilibrata, armonica e, a suo modo, organica degli elementi comuni alla santità cristiana, dove le virtù e i mezzi di santificazione hanno una propria collocazione, un dosaggio, una simmetria e una bellezza che li caratterizzano»[16].
II. GESÙ È LA FELICITÀ
Queste parole sono dirette ai giovani, sono per loro, ma sappiamo bene che «la santità è anche per te», riguarda tutti: giovani, educatori, padri e madri, laiche e laici consacrati, religiose, religiosi, presbiteri. In breve, queste mie parole sono rivolte a tutti e a ciascuno dei membri della nostra Famiglia Salesiana, in modo che tutti ci sentiamo inclusi, e riguardano naturalmente tutto il Popolo di Dio.
Sono molto belli i messaggi che, con forte convinzione, papa Giovanni Paolo II, papa Benedetto XVI e papa Francesco, hanno inviato ai giovani, e non dovrebbero risultarci estranei. Raccoglierò solo un piccolo campione di quei messaggi, con un denominatore comune: in tutti, i Papi chiedono ai giovani di correre il rischio di accettare Gesù come garanzia della loro felicità.
Questa fu la grande sfida che san Giovanni Paolo II lanciò quando disse ai giovani del mondo: «In realtà è Gesù che cercate quando sognate la felicità; è Lui che vi aspetta quando niente vi soddisfa di quello che trovate; è Lui la bellezza che tanto vi attrae; è Lui che vi provoca con quella sete di radicalità che non vi permette di adattarvi al compromesso; è Lui che vi spinge a deporre le maschere che rendono falsa la vita; è Lui che vi legge nel cuore le decisioni più vere che altri vorrebbero soffocare. È Gesù che suscita in voi il desiderio di fare della vostra vita qualcosa di grande, la volontà di seguire un ideale, il rifiuto di lasciarvi inghiottire dalla mediocrità, il coraggio di impegnarvi con umiltà e perseveranza per migliorare voi stessi e la società, rendendola più umana e fraterna»[17].
Non meno esplicito è stato papa Benedetto XVI quando ha detto ai giovani: «Cari giovani, la felicità che cercate, la felicità che avete diritto di gustare ha un nome, un volto: quello di Gesù di Nazareth, nascosto nell’Eucaristia […] Siatene pienamente convinti: Cristo nulla toglie di quanto avete in voi di bello e di grande, ma porta tutto a perfezione per la gloria di Dio, la felicità degli uomini, la salvezza del mondo […]. Lasciatevi sorprendere da Cristo! Concedetegli il “diritto di parlarvi”»[18].
E papa Francesco dice ai giovani che la felicità non è negoziabile, non ammette la riduzione delle aspettative a livelli che alla fine non la garantiscono in modo solido ed elevato, ma solo come qualcosa che può essere consumato in “piccole dosi”, e che, come viene, va e naturalmente non è la vera felicità o un percorso umano di piena realizzazione: «La vostra felicità non ha prezzo e non si commercia; non è una “app” che si scarica sul telefonino»[19].
Don Bosco vuole i suoi giovani felici nel tempo e nell’eternità
In Don Bosco tutto questo era chiarissimo, ed egli è stato capace di seminare nei suoi ragazzi il forte desiderio di diventare santi, di vivere per Dio e di raggiungere il paradiso: «Ha guidato i giovani sulla via della santità semplice, serena e gioiosa, unendo in una sola esperienza di vita il cortile, uno studio serio e un costante senso del dovere»[21].
III. SANTI PER I GIOVANI E CON I GIOVANI
Questo desiderio può essere riferito a tutti e a ciascuno dei 31 gruppi che formano la nostra Famiglia Salesiana. Con vero interesse ho cercato i riferimenti alla santità nelle Costituzioni e nei Regolamenti delle diverse congregazioni della nostra Famiglia, nel Progetto di Vita apostolica dei Salesiani Cooperatori, negli Ideari, Statuti e Regolamenti (secondo i nomi loro propri) di tutti i gruppi che appartengono all’albero del nostro carisma. Posso assicurarvi che, in un modo o nell’altro, tutti contempliamo la santità come un obiettivo e uno scopo per il quale siamo nati anche come istituzione religiosa, al fine di conseguirla nella nostra stessa vita. Una santità che, quindi, è proposta a ciascuno dei membri e che si propone come obiettivo nell’apostolato rivolto agli altri.
La giovinezza, un tempo per la santità
Convinti che «la santità è il volto più bello della Chiesa» (GE, 9), prima di proporla ai giovani siamo chiamati tutti a viverla e a testimoniarla, divenendo così una comunità “simpatica”, come narrano in varie occasioni gli Atti degli Apostoli (cf. GE, 93). Solo vivendo questa coerenza è possibile accompagnare i giovani sulle vie della santità.
Se sant’Ambrogio affermava che «ogni età è matura per la santità»[23], senza dubbio lo è anche la giovinezza! Nella santità di numerosi giovani la Chiesa riconosce la grazia di Dio che previene e accompagna la storia di ciascuno, la valenza educativa dei sacramenti dell’Eucaristia e della Riconciliazione, la fecondità di cammini condivisi nella fede e nella carità, la carica profetica di questi “campioni” che spesso hanno sigillato nel sangue il loro essere discepoli di Cristo e missionari del Vangelo. Il linguaggio più richiesto dai giovani di oggi è la testimonianza di una vita autentica. Per questo motivo la vita dei giovani santi è la vera parola della Chiesa; e l’invito ad intraprendere una vita santa, è l’appello più necessario di cui i giovani oggi hanno bisogno. Un autentico dinamismo spirituale e una feconda pedagogia della santità non deludono le aspirazioni profonde dei giovani: il loro bisogno di vita, di amore, di crescita, di gioia, di libertà, di futuro e anche di misericordia e riconciliazione.
Certamente la proposta ha il sapore di una vera sfida. Se da una parte è molto attraente, dall’altra crea timore e indecisione. Necessita di superare il rischio di «accontentarsi di un’esistenza mediocre, annacquata e inconsistente» (GE, 1); suppone di vincere la tentazione di “vivacchiare” perché la sfida della santità non è un’altra cosa rispetto alla vita di tutti i giorni, ma è esattamente questa stessa esistenza ordinaria vissuta in maniera straordinaria, perché resa bella dalla grazia di Dio. Il frutto dello Spirito Santo è infatti una vita vissuta nella gioia e nell’amore, e in questo consiste la santità. In questo senso è prezioso l’esempio che il Papa ci offre nell’Esortazione apostolica presentando la testimonianza di vita del Card. Francesco Saverio Nguyên Van Thuân, che visse lunghi anni in carcere. Egli rinunciò a consumarsi nell’attesa della liberazione, e prese un’altra decisione: «Vivo il momento presente, colmandolo di amore e […] afferro le occasioni che si presentano ogni giorno, per compiere azioni ordinarie in un modo straordinario» (GE, 17).
Giovani santi e giovinezza dei santi
«Gesù invita ogni suo discepolo al dono totale della vita, senza calcolo e tornaconto umano. I santi accolgono quest’invito esigente e si mettono con umile docilità alla sequela di Cristo crocifisso e risorto. La Chiesa contempla nel cielo della santità una costellazione sempre più numerosa e luminosa di ragazzi, adolescenti e giovani santi e beati che dai tempi delle prime comunità cristiane giungono fino a noi. Nell’invocarli come protettori, li indica ai giovani come riferimenti per la loro esistenza»[24]. In varie inchieste, anche in quelle preparatorie per il Sinodo dei Vescovi sui giovani, i giovani stessi riconoscono di essere «più recettivi di fronte a “una narrativa della vita” [rispetto] a un astratto sermone teologico»[25] e considerano per loro molto rilevante la vita dei santi. Perciò, senza dubbio, diventa importante presentarli in modo adatto alla loro età e condizione.
Merita anche ricordare che accanto ai “Santi giovani” vi è la necessità di presentare ai giovani la “giovinezza dei Santi”. Tutti i Santi, infatti, sono passati attraverso l’età giovanile e sarebbe utile ai giovani di oggi mostrare in che modo i Santi hanno vissuto il tempo della loro giovinezza. Si potrebbero così intercettare molte situazioni giovanili non semplici né facili, dove però Dio è presente e misteriosamente attivo. Mostrare che la Sua grazia è all’opera, attraverso percorsi tortuosi di paziente costruzione di una santità che matura nel tempo per tante vie impreviste, può aiutare tutti i giovani, nessuno escluso, a coltivare la speranza di una santità sempre possibile.
L’ultimo numero del documento finale del Sinodo afferma, in sintonia con quanto stiamo dicendo, che anche la santità dei giovani fa parte della santità della Chiesa, perché «i giovani sono parte integrante della Chiesa. Lo è quindi anche la loro santità, che in questi ultimi decenni ha prodotto una multiforme fioritura in tutte le parti del mondo: contemplare e meditare durante il Sinodo il coraggio di tanti giovani che hanno rinunciato alla loro vita pur di mantenersi fedeli al Vangelo è stato per noi commovente; ascoltare le testimonianze dei giovani presenti al Sinodo che nel mezzo di persecuzioni hanno scelto di condividere la passione del Signore Gesù è stato rigenerante. Attraverso la santità dei giovani la Chiesa può rinnovare il suo ardore spirituale e il suo vigore apostolico»[26].
IV. COSA VUOL DIRE: «LA SANTITÀ ANCHE PER TE!»?
Dopo aver affermato che per essere santi non è necessario essere vescovi, sacerdoti, religiose o religiosi, aggiunge: «Tutti siamo chiamati ad essere santi vivendo con amore e offrendo ciascuno la propria testimonianza nelle occupazioni di ogni giorno, lì dove si trova. Sei una consacrata o un consacrato? Sii santo vivendo con gioia la tua donazione. Sei sposato? Sii santo amando e prendendoti cura di tuo marito o di tua moglie, come Cristo ha fatto con la Chiesa. Sei un lavoratore? Sii santo compiendo con onestà e competenza il tuo lavoro al servizio dei fratelli. Sei genitore o nonna o nonno? Sii santo insegnando con pazienza ai bambini a seguire a Gesù. Hai autorità? Sii santo lottando a favore del bene comune e rinunciando ai tuoi interessi personali» (GE 14).
Questo ci incoraggia a tradurre in parole semplici la sfida che abbiamo e che si presenta come una preziosa provocazione per tutti e ciascuno di noi, a tutte le età e tappe della vita.
Che cos’è allora la santità, questa santità che ci viene presentata così vicina e accessibile al giovane, alla donna e all’uomo di oggi?
→ Si tratta di una cosa vicina, reale, concreta, possibile. Anzi è la vocazione fondamentale all’amore come riconosce il Concilio Vaticano II (LG, 11); l’anima, l’essenza di questa chiamata alla santità per ogni persona è la carità pienamente vissuta: «Dio è amore; chi rimane nell’amore rimane in Dio e Dio rimane in lui» (1 Gv 4,16).
Papa Benedetto XVI invitava i giovani, tutti i giovani, ad «aprirsi all’azione dello Spirito Santo, che trasforma la nostra vita, per essere anche noi come tessere del grande mosaico di santità che Dio va creando nella storia, perché il volto di Cristo splenda nella pienezza del suo fulgore. Non abbiamo paura di tendere verso l’alto, verso le altezze di Dio; non abbiamo paura che Dio ci chieda troppo»[27].
→ Si tratta di essere santi contenti perché così ci ha sognato Dio
Don Bosco ha capito molto bene, e così l’ha trasmesso ai suoi ragazzi, che impegno e gioia vanno insieme, e che santità e gioia sono un binomio inseparabile. Il suo, quindi, è un invito e una chiamata alla “santità della gioia” e alla gioia vissuta in una vita santa. Ciò non significa ignorare che l’impegno della santità comporta coraggio perché è, in altre parole, un percorso che va “contro corrente”, un cammino non poche volte di contestazione, nel quale in alcuni momenti dobbiamo essere come Gesù “segni di contraddizione”.
→ Si tratta di un cammino, quello della santità, che accetta la dimensione della croce.
Forse il riferimento alla Croce non è più tanto frequente tra noi oggi, ma sicuramente anche in questo dobbiamo cambiare. Non si può vivere un’autentica vita cristiana e un cammino di santità nel quotidiano lasciando ai margini la Croce.
Avendo partecipato durante l’ultimo Sinodo alla canonizzazione di san Paolo VI, celebrata insieme a quella di altri sei santi, trovo queste sue parole molto opportune: «Che cosa sarebbe un Vangelo, cioè un cristianesimo, senza la croce, senza il dolore, senza il sacrificio di Gesù? Sarebbe un Vangelo, un cristianesimo senza la Redenzione, senza la salvezza, della quale abbiamo assoluto bisogno. Il Signore ci ha salvato con la Croce; ci ha ridato la speranza, il diritto alla vita con la sua morte. Portare la croce! Grande cosa, grande cosa, figli carissimi! Vuol dire affrontare la vita con coraggio, senza mollezza e senza viltà; vuol dire trasformare in energia morale le difficoltà immancabili della nostra esistenza; vuole dire, saper comprendere il dolore umano e finalmente saper veramente amare!»[29].
La santità è dunque un cammino di umanizzazione. «Ci occorre uno spirito di santità che impregni tanto la solitudine quanto il servizio, tanto l’intimità quanto l’impegno evangelizzatore, così che ogni istante sia espressione di amore donato sotto lo sguardo del Signore. In questo modo, tutti i momenti saranno scalini nella nostra via di santificazione» (GE, 31).
La santità pertanto coincide con la piena fioritura dell’umano. Essa non è la proposta di un cammino disincarnante e decontestualizzante, ma permette di sperimentare in modo sempre più pieno e vero la propria umanità e l’umanità dei fratelli. Nel volto di un vero santo, si percepisce sempre, chiaramente, l’uomo o la donna che egli è, con tutta la ricchezza affettiva, volitiva, intellettiva e relazionale che lo contraddistingue: «Nei Santi diventa ovvio: chi va verso Dio non si allontana dagli uomini, ma si rende invece ad essi veramente vicino»[30].
Don Bosco stesso, nella sua grande umanità, fu il primo ad aver trovato, guarito, riconciliato i ragazzi che spesso giungevano all’Oratorio avendo vissuto situazioni difficili di povertà affettiva, di difficoltà economiche, di orfanezza e abbandono. A questi ragazzi ha offerto tutta la ricchezza dello spirito di famiglia e del Sistema Preventivo, in un clima magnifico, anche spirituale, che ha aiutato a guarirli. Tali ferite sono guarite grazie alla paternità di Don Bosco stesso, al clima di famiglia, di gioia e al cammino di fede e di amicizia con Gesù a cui Don Bosco ha condotto i suoi ragazzi.
A Mornese Madre Mazzarello e le prime sorelle hanno vissuto, con la sensibilità propria della donna, questo incontro con l’umanità di quelle bambine e ragazze povere, accolte nella prima casa delle Figlie di Maria Ausiliatrice.
E così la nostra storia si è ripetuta in tanti gruppi della nostra Famiglia Salesiana, con un tratto, tipicamente nostro, che è anche del Vangelo, e che ci ha permesso di prenderci cura e di guarire l’umanità di ogni persona con la quale ci siamo incontrati.
E per i consacrati e le consacrate della nostra Famiglia Salesiana questo dovere diventa indispensabile. Paolo VI lo disse in modo radicale: «La vita religiosa deve essere santa, o non ha più ragione di essere»[31].
V. ALCUNI POSSIBILI INDICATORI DELLA SANTITÀ
Offro alcuni suggerimenti che possono essere validi per ciascuno personalmente e per la nostra missione. Mi permetto di segnalare i seguenti indicatori.
È la proposta della santità della vita quotidiana. Se Teresa d’Avila trova la santità tra le stoviglie di una cucina, e Francesco di Sales dimostra che il cristiano può vivere nel mondo, in mezzo agli impegni della vita e alle preoccupazioni ed essere santo, Don Bosco con la semplicità della gioia, dell’esatto compimento del proprio dovere e di una vita vissuta tutta per amore del Signore, crea con i suoi ragazzi a Valdocco una vera scuola di santità.
Tuttavia, questo cammino non è possibile senza coltivare una profondità di vita, senza una fede autentica e senza la preghiera come espressione di questa stessa fede. Papa Francesco afferma: «Non credo nella santità senza preghiera» (GE 147). Ed effettivamente tutto questo è impossibile senza l’intimità con il Signore Gesù: preghiera di ringraziamento, espressione di riconoscenza al Dio trascendente; preghiera di supplica, espressione del cuore che confida in Dio; preghiera di intercessione, espressione di amore fraterno; preghiera di adorazione, espressione che riconosce la trascendenza di Dio; preghiera di meditazione della Parola, espressione del cuore docile e obbediente; preghiera eucaristica, culmine e fonte del cammino di santità.
Allora, perseguire la vita buona del Vangelo nella pratica gioiosa e costante delle virtù sarà veramente una via semplice di santità.
Al contrario non c’è santità cristiana là dove si dimentica la comunione con gli altri, dove si dimentica di cercare e guardare il volto dell’altro, dove si dimentica la fraternità e la rivoluzione della tenerezza.
Alcune case salesiane, come Valdocco, Mornese, Valsalice, Nizza, Ivrea, San Giovannino… attestano fin dall’inizio la santità come esperienza condivisa, che fiorisce nell’amicizia, nella dedizione e nel servizio (oggi diciamo vita come “vocazione e missione”).
In esse ci è proposto un modo di vivere nel quale si realizzano processi che vanno dalla povertà di cuore, che vuol dire anche austerità di vita, al reagire con umile mitezza in un mondo dove si litiga facilmente e per qualunque cosa; dal coraggio di lasciarsi “trafiggere” dal dolore altrui e averne compassione al cercare con vera fame e sete la giustizia, mentre altri si spartiscono la torta della vita ottenuta per mezzo dell’ingiustizia, della corruzione e dell’abuso di potere.
Le Beatitudini inducono il cristiano a guardare e ad agire con misericordia, che significa aiutare gli altri e anche perdonare; lo spingono a mantenere un cuore puro e libero da tutto ciò che sporca l’amore verso Dio e verso il prossimo. La proposta di Gesù ci chiede di seminare pace e giustizia e costruire ponti tra le persone. Chiede anche di accettare le incomprensioni, le falsità nei confronti di se stessi e, in definitiva, tutte le persecuzioni, anche le più subdole, che esistono oggi.
Si percorre un cammino di santità nella propria condizione di uomo e di donna. In questo senso la tenerezza femminile, la finezza dei piccoli dettagli e dei gesti sono un magnifico esempio per tutti. Per questa ragione papa Francesco dice: «Voglio sottolineare che anche il “genio femminile” si manifesta in stili femminili di santità, indispensabili per riflettere la santità di Dio in questo mondo e […] mi preme ricordare tante donne sconosciute o dimenticate le quali, ciascuna a modo suo, hanno sostenuto e trasformato famiglie e comunità con la forza della loro testimonianza» (GE, 12).
In quel momento gli venne vicino un tacchino che gli chiedeva cosa stesse facendo. Rise di lui quando sentì il suo racconto. Gli disse che era un romantico e che avrebbe dovuto smettere di scherzare. Loro erano qualcos’altro. Doveva tornare alla realtà e gli propose di accompagnarlo in un luogo dove aveva trovato tanta frutta matura e tante qualità di vermi.
E pensare che era nato per le vette!
Si tratta della via della crescita cristiana verso la santità: «Non abbiamo paura di tendere verso l’alto, verso le altezze di Dio; non abbiamo paura che Dio ci chieda troppo»[33].
VI. CAMMINI DI SANTITÀ OGGI ALLA LUCE DELLA NOSTRA STORIA COME FAMIGLIA SALESIANA
Noi sappiamo che alcuni sono santi, ma non sappiamo mai chi è più santo di un altro. Dio solo conosce i cuori. C’è una bellezza particolare in ciascuno. Non si deve chiedere a una persona ciò che essa non può e non deve dare. Dirlo è incoraggiante, risanante. Altrimenti ci convinceremmo di non poter diventare santi, perché non saremo mai come i santi che ci sono stati proposti come modello. «Non bisogna mettere nella santità più perfezione di quella che davvero vi è»[34]. Cioè: l’eroicità cristiana non è eroismo, la perfezione cristiana non è il perfezionismo del supereroe. «Nella casa del Padre mio vi sono molte dimore» (Gv 14,2). Il Paradiso è come un giardino: vi è l’umile violetta o il sublime giglio e la rosa. Nessuna condizione rappresenta un ostacolo insormontabile alla pienezza della gioia e della vita.
Così, nella casa di Don Bosco trova spazio e accoglienza una molteplicità di interlocutori a vario titolo feriti da vicende familiari o personali dolorose; persone che, sulla base di un mero criterio di umana prudenza o di efficienza, non avrebbero mai dovuto essere accettate. Figure che allo sguardo superficiale paiono contrastare in tutto e per tutto con la briosità gioiosa e persino “robusta” dello spirito salesiano. Eppure alla luce della fede si dimostra, con i fatti, che nessuna condizione personale costituisce un impedimento alla santità.
Lo Spirito Santo che ha ispirato gli autori sacri è lo stesso che anima i Santi a dare la vita per il Vangelo. Il loro differente modo di “incarnare” la santità costituisce una via sicura per intraprendere un’ermeneutica viva ed efficace della Parola di Dio.
Ogni nostro Santo, Beato, Venerabile, Servo di Dio è portatore di una ricchezza di aspetti che meritano maggiore considerazione e valorizzazione. Si tratta di contemplare un diamante dalle molteplici facce, alcune più visibili e attraenti, altre meno immediate e “simpatiche”, ma non per questo meno vere e decisive. Conoscere e far conoscere queste straordinarie figure di credenti genera un progressivo coinvolgimento nel loro stesso cammino, un appassionato interessamento alle loro vicende, una gioiosa condivisione dei progetti e delle speranze che animarono i loro passi.
Vi offro qualche esempio.
- Il richiamo alla realtà preventiva non solo come aspetto pedagogico educativo, ma come fatto teologico. Nella sua vita, come don Bosco stesso testimonia, c’è una grazia preventiva che opera e si manifesta[36].
- Il valore decisivo rappresentato dalla Prima Comunione[37].
- Il fatto che costituisca una sorta di capofila e di maestro nelle vie di Dio (così come anche Don Bosco lo vede nel sogno di Lanzo del 1876), come viene confermato dalla vita di tanti nostri beati, venerabili e servi di Dio che faranno propri i propositi di Domenico: Laura Vicuña, Zefirino Namuncurá, Giuseppe Kowalski, Alberto Marvelli, Giuseppe Quadrio, Ottavio Ortiz Arrieta.
- Il ruolo di Domenico nella fondazione della Compagnia dell’Immacolata, vivaio della futura Congregazione salesiana, in rapporto con Giovanni Massaglia, vero amico delle cose dell’anima, di cui don Bosco affermò: «Se volessi scrivere i bei tratti di virtù del giovane Massaglia, dovrei ripetere in gran parte le cose dette del Savio, di cui fu fedele seguace finché visse»[38].
→ La santità missionaria del carisma salesiano, espressa in un numero notevole di uomini e donne, consacrati e laici, che mettono in evidenza: l’annuncio del vangelo, l’inculturazione della fede, la promozione della donna, la difesa dei diritti dei poveri e degli indigeni, la fondazione di Chiese locali. Impressiona profondamente il fatto che una grandissima parte di fratelli e sorelle della nostra Famiglia Salesiana che sono in cammino in vista del riconoscimento delle virtù eroiche e della loro santità, siano missionari e missionarie (Beata Maria Romero Meneses, FMA; Beata Maria Troncatti, FMA; Venerabile Vincenzo Cimatti).
→ La santità vittimale oblativa, che esprime la radice profonda del “Da mihi animas, coetera tolle”. Capofila di questa dimensione è il Venerabile don Andrea Beltrami (1870-1897), la cui testimonianza è paradigmatica di tutto un filone della santità salesiana che, partendo dalla triade Andrea Beltrami, Augusto Czartoryski, Luigi Variara, continua nel tempo con altre grandi figure quali la Beata Eusebia Palomino, la Beata Alexandrina Maria da Costa, la Beata Laura Vicuña, senza dimenticare la numerosa schiera dei martiri (tra i quali occorre menzionare i 95 martiri della guerra civile spagnola, e tra essi molti giovani confratelli in formazione e giovani sacerdoti).
- La Beata Laura Vicuña, nata in Cile nel 1891, che non ha conosciuto un padre e la cui mamma inizia in Argentina una convivenza con il ricco possidente Manuel Mora. Laura, ferita dalla situazione di irregolarità morale della mamma, offre la vita per lei.
- Il Servo di Dio Carlo Braga, nato in Valtellina (nel Nord Italia) nel 1889. È abbandonato piccolissimo dal padre e la sua mamma viene allontanata perché ritenuta, per un misto di ignoranza e maldicenza, psichicamente labile. Carlo incontra grandi umiliazioni e vedrà messa più volte in dubbio l’autenticità della propria vocazione salesiana, ma saprà maturare in questo travaglio una grande forza di riconciliazione e offrirà la testimonianza di una profonda paternità e bontà, soprattutto verso i genitori dei confratelli.
- La figura di Stefano Sándor (1914-1953), beatificato nel 2013 (la causa iniziò nel 2006), ricorda la complementarità delle due forme dell’unica vocazione consacrata salesiana: quella laicale (coadiutore) e quella presbiterale. La luminosa testimonianza di Stefano Sándor, come salesiano coadiutore, esprime una scelta vocazionale chiara e decisa, un’esemplarità di vita, un’autorevolezza educativa e una fecondità apostolica, a cui guardare per una presentazione della vocazione e missione del salesiano coadiutore, con una predilezione per i giovani apprendisti e del mondo del lavoro.
- Titus Zeman (1915-1969), beatificato a Bratislava il 30 settembre 2017 (la causa iniziò nel 2010). Quando il regime comunista cecoslovacco, nell’aprile del 1950, vietò gli ordini religiosi e iniziò a deportare consacrati e consacrate nei campi di concentramento, ritenne necessario organizzare dei viaggi clandestini verso Torino per consentire ai giovani salesiani di completare gli studi. Titus s’incaricò di realizzare questa rischiosa attività e organizzò due spedizioni per circa 20 giovani salesiani. Durante la terza spedizione don Zeman con gli altri fuggitivi fu arrestato. Subì un duro processo, durante il quale venne descritto come traditore della patria e spia del Vaticano, e condannato alla pena di morte. Visse il suo calvario con grande spirito di sacrificio e di offerta: «Anche se perdessi la vita, non la considererei sprecata, sapendo che almeno uno di quelli che ho aiutato è diventato sacerdote al posto mio».
→ La dimensione episcopale: nella variegata scia di santità fiorita alla scuola di Don Bosco, si distingue anche un significativo numero di vescovi, che hanno incarnato in modo speciale la carità pastorale, tipica del carisma salesiano, nel ministero episcopale: Luigi Versiglia (1873-1930), Martire e Santo; Luigi Olivares (1873-1943), Venerabile; Stefano Ferrando (1895-1978), Venerabile e Fondatore; Ottavio Ortiz Arrieta (1878-1958), Venerabile; Augusto Hlond (1881-1948), Venerabile, cardinale; Antonio de Almeida Lustosa (1886-1974), Servo di Dio; Oreste Marengo (1906-1998), Servo di Dio.
Questa realtà descritta è tanto bella, ci riempie di responsabilità e ci incoraggia. Si vede chiaramente che siamo depositari di una preziosa eredità, che merita di essere meglio conosciuta e valorizzata. Il rischio è di ridurre questo patrimonio di santità a un fatto liturgico-celebrativo, non valorizzandone appieno le potenzialità di tipo spirituale, pastorale, ecclesiale, educativo, culturale, storico, sociale, missionario… I Santi, Beati, Venerabili e Servi di Dio sono pepite preziose che vengono sottratte dall’oscurità della miniera per poter brillare e riflettere nella Chiesa e nella Famiglia Salesiana lo splendore della verità e della carità di Cristo.
→ L’aspetto pastorale della loro persona tocca l’efficacia che queste figure possiedono quali esempi riusciti di un cristianesimo vissuto in particolari situazioni socio-culturali e politiche del mondo, della Chiesa e della stessa Famiglia Salesiana.
→ L’aspetto spirituale implica l’invito all’imitazione delle loro virtù come sorgente di ispirazione e di progettualità per il nostro stile di vita e per la nostra missione. La cura pastorale e spirituale di una causa è un’autentica forma di pedagogia della santità, a cui dovremmo, in forza del nostro carisma, essere particolarmente sensibili e attenti.
Concludo il commento alla Strenna con questa ricca e puntuale informazione, che mi giunge dalla nostra Postulazione. Senza dubbio sarà di grande interesse per la nostra Famiglia Salesiana e in modo speciale per tutti i gruppi di questo bellissimo albero della salesianità che vedono qualcuno dei loro membri coinvolto in uno di questi processi. Come scrisse Don Rua, la santità di tutti noi, suoi figli e sue figlie, sarà una prova della santità vissuta e lasciataci in eredità dallo stesso Don Bosco, amato Padre di tutta la Famiglia Salesiana diffusa nel mondo.
Miei cari fratelli e sorelle, posso tranquillamente affermare che il più grande bisogno e la più grande urgenza che abbiamo oggi nel nostro mondo salesiano non è di fare più cose, di progettare e riprogettare nuove realtà, di avviare nuove presenze…, bensì di mostrare ciò che le nostre vite comunicano personalmente e collettivamente, il nostro modo di vivere il Vangelo, che si sviluppa e si estende nel tempo, come prolungamento del modo di vivere di Gesù[39]. In definitiva è in gioco la nostra santità!
Volete «riproporre con coraggio “il tendere alla santità” come principale risposta alle sfide del mondo contemporaneo. Si tratta, in definitiva, non tanto di intraprendere nuove attività e iniziative, quanto piuttosto di vivere e testimoniare il Vangelo senza compromessi, sì da stimolare alla santità i giovani che incontrate. Salesiani del terzo millennio! Siate appassionati maestri e guide, santi e formatori di santi, come lo fu san Giovanni Bosco»[40].
Con affetto,
Rettor Maggiore
la santità dei figli sia prova della santità del padre (Don Rua)
ELENCO AL 31 DICEMBRE 2018
Ci sono inoltre 5 cause extra affidate alla nostra Postulazione.
san Luigi Guanella, sacerdote (23 ottobre 2011) – (Italia)
beato Tito Zeman, sacerdote, martire (30 settembre 2017) – (Slovacchia).
ven. Augusto Hlond, cardinale (19 maggio 2018) – (Polonia)
Rodolfo Lunkenbein, sacerdote (Germania – Brasile) e Simão Bororo, laico (Brasile), martiri
[25]XV Assemblea ordinaria del Sinodo dei Vescovi, I giovani, la fede e il discernimento vocazionale. Instrumentum Laboris. Riunione pre-sinodale. Documento finale (19-24 marzo 2018), Parte II, Introduzione. Il documento si trova nella pagina: http://press.vatican.va/content/salastampa/it/bollettino/pubblico/2018/03/24/0220/00482.html
[27]Benedetto XVI, Catechesi nell’Udienza generale del 13 aprile 2011: Insegnamenti VII (2011).
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