STRENNA 2013
attraverso la pedagogia della bontà.
Nel 2013 il nostro obiettivo sarà quello di approfondire la sua proposta educativa: ciò che Don Bosco ha inteso offrire ai giovani e il metodo che egli utilizzò per aprire le porte del loro cuore, per conquistare la loro confidenza, per plasmare robuste personalità, dal punto di vista umano e cristiano. Concretamente, vogliamo avvicinarci a Don Bosco educatore. Si tratta dunque di approfondire ed aggiornare il Sistema Preventivo. Ecco il tema della Strenna 2013. Anche questa volta, il nostro approccio non è solo intellettuale. Da una parte, è certamente necessario uno studio approfondito della Pedagogia Salesiana per aggiornarla secondo la sen- sibilità e le esigenze del nostro tempo. Oggi i contesti sociali, economici, culturali, politici, religiosi, nei quali ci troviamo a vivere la vocazione e a svolgere la missione salesiana, sono profondamente cambiati. D’altra parte, per una fedeltà carismatica al nostro Padre, è ugual- mente necessario fare nostro il contenuto e il metodo della sua offerta educativa e pastorale. Nel contesto della società di oggi siamo chiamati ad essere santi educatori come lui, donando la nostra vita come lui, lavorando con e per i giovani.
- una struttura flessibile (è la modalità con cui Don Bosco pensa all’Oratorio) quale opera di mediazione tra Chiesa, società urbana e fasce popolari giovanili;
- il rispetto e la valorizzazione dell’ambiente popolare;
- la religione posta a fondamento dell’educazione secondo l’insegnamento della pedagogia cattolica trasmessa a lui dall’ambiente del Convitto;
- l’intreccio dinamico tra formazione religiosa e sviluppo umano, tra catechismo ed educazione. In altre parole, la convergenza tra educazione ed educazione alla fede (integrazione fede-vita);
- la convinzione che l’istruzione costituisce uno strumento essenziale per illuminare la mente;
- l’educazione, così come la catechesi, che si sviluppa in tutte le espressioni compatibili con la ristrettezza del tempo e delle risorse: alfabetizzazione di chi non ha mai potuto fruire di una qualsiasi forma di istruzione scolastica, il collocamento al lavoro, l’assistenza lungo la settimana, lo sviluppo di attività associative e mutualistiche ecc.
- la piena occupazione e valorizzazione del tempo libero;
- l’amorevolezza come stile educativo e, più in generale, come stile di vita cristiana. Dalla dinamica della sua particolare esperienza questo metodo, denominato appunto da un certo momento in avanti “Sistema Preventivo”, diventa un “sistema” pubblicizzato e presentato come metodo universale. Don Bosco lo propose e volle che fosse adottato per l’educazione e la rieducazione dei giovani appartenenti ai gruppi più svariati.
In particolare desidero suggerire tre prospettive, analizzando più in profondità la prima.
In Lui siamo costituiti figli e chiamati a vivere come tali nella storia. È una realtà e un dono, di cui l’uomo deve penetrare progressivamente il senso. La vocazione a figli di Dio non è un’aggiunta di lusso, un complemento estrinseco per la realizzazione dell’uomo. È invece il suo totale compimento, l’indispensabile condizione di autenticità e pienezza, il soddisfacimento delle esigenze più radicali, quelle di cui è sostanziata la sua stessa struttura creaturale. Ma come attualizzare il “buon cristiano” di Don Bosco? Come salvaguardare oggi la totalità umano-cristiana del progetto in iniziative formalmente o prevalentemente religiose e pastorali, contro i pericoli di antichi e nuovi integrismi ed esclusivismi? Come trasformare la tradizionale educazione, il cui contesto era “una società mono religiosa”, in una educazione aperta, e al tempo stesso critica, di fronte al pluralismo contemporaneo? Come educare a vi- vere in autonomia e nello stesso tempo essere partecipi in un mondo plurireligioso, pluriculturale, plurietnico? A fronte dell’attuale superamento della tradizionale pedagogia dell’obbedienza, adeguata ad un certo tipo di ecclesiologia, come promuovere una pedagogia della libertà e della responsabilità, tesa alla costruzione di persone responsabili, capaci di libere decisioni mature, aperte alla comunicazione interpersonale, inserite attivamente nelle strutture sociali, in atteggiamento non conformistico, ma costruttivamente critico?
- Chi sono esattamente i giovani cui “consacriamo” personalmente e in comunità la no- stra vita? Cosa vogliono, cosa desiderano loro e che cosa vogliamo noi (e Dio) per loro? Li conosciamo i giovani di oggi? Siamo convinti del diverso problema quantitativo e qualitativo dei giovani di oggi rispetto a quello affrontato centocinquanta anni fa da Don Bosco?
- Quale è la nostra professionalità pastorale a livello di riflessione teorica sugli itinerari educativi ed a livello di prassi pastorale? Essa trova il banco di prova nella creatività, duttilità, flessibilità, nell’anti-fatalismo. Quello che è certo è che per poterci “inculturare” non possiamo fare affidamento solo sui documenti dei Capitoli Generali delle nostre Congregazioni, sulle deliberazioni più importanti dei vari gruppi o sulle lettere del Rettor Maggiore.
- La responsabilità educativa oggi non può essere che collettiva, corale, partecipata. Quale è allora il nostro “punto di aggancio” con la “rete di relazioni” sul territorio e anche oltre il territorio in cui vivono i nostri giovani? Quale il nostro preciso contributo di partecipazione e di collaborazione all’interno di tale rete educativa globalizzata? Abbiamo preso in considerazione le soluzioni possibili, confrontandoci anche con terzi?
- Se qualche volta la Chiesa si trova disarmata di fronte ai giovani, non è che per caso lo sono anche i Salesiani o la Famiglia Salesiana di oggi?
Possiamo chiederci: oggi i giovani e gli adulti entrano o possono entrare nel cuore dell’educatore salesiano? Che vi scoprono? Un tecnocrate, un abile, ma vacuo comunicatore, oppure una umanità ricca, completata e animata dalla grazia di Gesù Cristo, nel Corpo Mistico, ecc.? Se non vi scoprono tutto questo, Don Bosco non potrebbe ripetere più o meno le parole: “Quando nel cuore del salesiano non si trova la ricchezza e la profondità della grazia di Cristo, la Congregazione e la Famiglia Salesiana hanno finito il loro corso”?
A partire dalla conoscenza della pedagogia di Don Bosco, e alla luce delle riflessioni sopra sviluppate i grandi punti di riferimento e gli impegni della Strenna del 2013 per la Famiglia Salesiana sono i seguenti.
- La fiducia nella vittoria del bene: «In ogni giovane, anche il più disgraziato – scrive Don Bosco –, c’è un punto accessibile al bene, e dovere primo dell’educatore è di cercare questo punto, questa corda sensibile del cuore, e di trarne profitto».
- L’apprezzamento dei valori umani: Il discepolo/a di Don Bosco coglie i valori del mondo e rifiuta di gemere sul proprio tempo: ritiene tutto ciò che è buono, specie se gradito ai giovani e alla gente (cf. Cost SDB 17).
- L’educazione alle gioie quotidiane: occorre un paziente sforzo di educazione per imparare, o imparare nuovamente, a gustare, con semplicità, le molteplici gioie umane che il Creatore mette ogni giorno sul nostro cammino.
Poiché si affida totalmente al «Dio della gioia» e testimonia in opere e in parole il «Vangelo della gioia», il discepolo e la discepola di Don Bosco sono sempre lieti. Diffondono questa gioia e sanno educare alla letizia della vita cristiana e al senso della festa, memori dell’appello di san Paolo: «Siate sempre lieti nel Signore, ve lo ripeto: siate lieti» (Fil 4,4)”.
Da qui la convinzione che la spiritualità apostolica della Famiglia Salesiana si caratterizza non per un amore genericamente inteso, ma per la capacità di amare e di farsi amare”.
“L’amore di Don Bosco per questi giovani era fatto di gesti concreti e opportuni. Egli si interessava di tutta la loro vita, riconoscendone i bisogni più urgenti e intuendo quelli più nascosti. Affermare che il suo cuore era donato interamente ai giovani, significa dire che tutta la sua persona, intelligenza, cuore, volontà, forza fisica, tutto il suo essere era orientato a fare loro del bene, a promuoverne la crescita integrale, a desiderarne la salvezza eterna. Essere uomo di cuore, per Don Bosco, significava quindi essere tutto consacrato al bene dei suoi giovani e donare loro tutte le proprie energie, fin l’ultimo respiro!”
La presenza educativa nel sociale comprende queste realtà: la sensibilità educativa, le politi- che educative, la qualità educativa del vivere sociale, la cultura.
“Per Don Bosco significava valorizzare tutto il positivo radicato nella vita delle persone, nelle realtà create, negli eventi della storia. Ciò lo portava a cogliere gli autentici valori presenti nel mondo, specie se graditi ai giovani; a inserirsi nel flusso della cultura e dello sviluppo umano del proprio tempo, stimolando il bene e rifiutandosi di gemere sui mali; a ricercare con saggezza la cooperazione di molti, convinto che ciascuno ha dei doni che vanno scoperti, riconosciuti e valorizzati; a credere nella forza dell’educazione che sostiene la crescita del giovane e lo incoraggia a diventare onesto cittadino e buon cristiano; ad affidarsi sempre e comunque alla provvidenza di Dio, percepito e amato come Padre”.
Nel nuovo contesto globalizzato i diritti umani diventano uno strumento in grado di oltrepassare gli angusti confini nazionali per porre limiti e obiettivi comuni, creare alleanze e strategie e mobilitare risorse umane ed economiche.
Il Sistema Preventivo nell’educazione della gioventù, la Lettera da Roma, le Biografie di Domenico Savio, Michele Magone, Francesco Besucco, sono tutti scritti di Don Bosco che illustrano bene sia la sua esperienza educativa che le sue scelte pedagogiche. Queste opere sono state scritte infatti perché noi potessimo conoscere la sensibilità pedagogica ed educativa del nostro caro fondatore e padre, ciò che gli stava a cuore a riguardo della centralità dei giovani, del loro protagonismo nella propria formazione, del clima da creare per garantire il successo educativo. Le biografie diventano, da questa prospettiva, tre itinerari diversi secondo il punto di partenza di ciascuno di questi ragazzi dell’Oratorio di Valdocco, e con proposte a misura loro. Per Don Bosco si doveva cominciare dalla realtà di ciascuno dei ragazzi senza dover attendere di avere situazioni ideali, facendo leva sui valori e le attitudini che si portavano dietro e additando vette da raggiungere.
- Una presenza attiva. L’assistenza salesiana non è semplice azione di sorveglianza; è una presenza che fa sentire al ragazzo di essere amato; che condivide con lui il gusto di lavorare e di crescere insieme, rendendolo protagonista.
- Il lavoro quotidiano. Edotto dall’esperienza del lavoro contadino nei campi dei Becchi e dei Moglia, Don Bosco amava dire ai suoi ragazzi: “Un ragazzo pigro sarà sempre un somaro”, “Chi non si abitua al lavoro in tempo di gioventù, per lo più sarà sempre un poltrone sino alla vecchiaia”. A Valdocco era stigmatizzata la pigrizia e il lavoro si alternava con la preghiera, il gioco, e l’apprendimento.
- Il senso di Dio. Mamma Margherita fu per Giovannino anche una catechista: lo preparò al sacramento della confessione e alla prima comunione e, soprattutto, gli insegnò a saper leggere la presenza di Dio nel quotidiano, nel creato, nelle vicende belle e tristi della vita. Guardando la sua generosità con i più poveri e bisognosi, il futuro prete maturò una pietà religiosa in grado di trasformarsi al momento opportuno in carità concreta, semplice e genuina.
- La ragione come sinonimo di dialogo. La saggezza contadina dava al termine “ragioniamo” diverse valenze; veniva usata per dialogare, per spiegarsi, per arrivare ad una decisione in comune, presa senza che uno volesse imporre il proprio punto di vista. Don Bosco fece in seguito del termine “ragione” una delle colonne portanti del suo metodo educativo. In questa prospettiva il dialogo tra Domenico Savio e Don Bosco è un vero e proprio patto educativo che guidò il giovane santo ad un impegno: “Dunque io sono la stoffa; lei ne sia il sarto; dunque mi prenda con sé e farà un bel abito per il Signore”.
Alla luce di questa memoria, il poema proposto diventa un messaggio per ogni adulto consapevole educatore, perché i bambini e i ragazzi guardano e fanno quello che tu fai, non quello che tu dici.
Viviamo semplicemente. Amiamo generosamente. Curiamo seriamente. Parliamo gentil- mente.
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