(“Parole” particolarmente significative di Don Bosco)
Art. 11 – Da mihi animas
La vita di Don Bosco ha trovato origine, forma ed espressione in una parola che rappresenta il filo d’oro della sua esperienza: da mihi animas coetera tolle.
Questa parola racchiude l’energia inesauribile di Don Bosco; il segreto del suo cuore, la forza e l’ardore della sua carità, l’apostolato nelle sue mille forme e realizzazioni: l’ha scelta perché caratterizzasse, per tutti i gruppi e i membri della Famiglia, lo spirito che deve animarli.
Oggi, per noi, indica un insieme di atteggiamenti interiori che guidano i passi del salesiano nel concreto della vita quotidiana. Richiede infatti dedizione alla profondità spirituale e all’interiorità apostolica, orienta verso il mistero della presenza e dell’amore di Dio, suscitando il respiro per le anime, come si esprime don Filippo Rinaldi; cura la vivacità e la creatività della carità pastorale.
E’ il nostro distintivo di famiglia!
Ci collega a san Francesco di Sales e alla sua nuova modalità di realizzare la perfezione evangelica; e a Don Bosco, pastore delle anime, sull’esempio del Signore Gesù.
Per chiamarsi figli di Don Bosco è necessario rifarsi a questo nostro carisma primo. A tutti i suoi discepoli Don Bosco ripete: “La più divina delle cose divine è cooperare con Dio alla salvezza delle anime, ed è una strada sicura di alta santità”.
Art. 12 – Per guadagnare anime a Dio io corro avanti fino alla temerità
Le espressioni che nascono dal cuore sacerdotale di Don Bosco difficilmente trovano una logica sistemazione nel quadro dei comportamenti comuni.
La temerità di cui parla il nostro Fondatore può avere differenti traduzioni: ardore apostolico, zelo instancabile, operosità incondizionata, lavoro pastorale incessante, creatività e geniale modernità negli interventi, cuore oratoriano.
Una manifestazione tipicamente salesiana della carità pastorale è il lavoro, inteso come lavorare per le anime. E’ una mistica che costruisce il regno di Dio e procura la felicità del giovane.
Il salesiano come Don Bosco sviluppa perciò in sé tutte le virtù dell’uomo di azione e impegna le proprie capacità e competenze per la promozione personale, il progresso sociale e la salvezza evangelica dei giovani, particolarmente bisognosi.
Fa dono totale della sua vita, come don Bosco che non diede passo, non pronunciò parola, non mise mano ad impresa che non avesse di mira la salvezza della gioventù. Realmente non ebbe a cuore altro che le anime.
Art. 13 – Uniti in un cuor solo si farà dieci volte tanto
Don Bosco dimostra in tutta la sua azione di educatore, di pastore e di fondatore una grande capacità di dialogare, di corresponsabilizzare anche i più giovani suoi collaboratori, di armonizzare nel lavoro apostolico e missionario le doti di persone molto diverse, per tutto; di trovare ad ognuno un lavoro congeniale all’indole, all’ingegno, alla formazione, in modo che ognuno si trovasse a suo agio.
E’ consapevole della necessità di una carità cooperativa nel servizio educativo e pastorale e sa che lo Spirito Santo suscita i carismi a beneficio di tutta la Chiesa, per l’utilità comune.
La ricchezza di ciascuno è per il bene di tutti e saper suscitare collaboratori è rendere l’opera più efficace.
Nel Regolamento dei Cooperatori Salesiani Don Bosco scrisse: “In ogni tempo si giudicò necessaria l’unione tra i buoni per giovarsi vicendevolmente nel fare il bene e tenere lontano il male. Se una cordicella presa da sola facilmente si rompe, è assai difficile romperne tre unite. Le forze deboli, unite, diventano forti: Vis unita fortior, funiculus triplex difficile rumpitur”.
Art. 14 – Qualunque fatica è poca quando si tratta della Chiesa e del Papa
La storia di Don Bosco, quella personale come quella pubblica, civile e religiosa, esprime un tratto tipico del suo spirito: l’amore alla Chiesa, centro di unità e comunione di tutte le forze che lavorano per il Regno. Dinanzi alla Chiesa del suo tempo, Don Bosco si presenta come un esperto in comunione e collaborazione.
Coltiva la coscienza e il senso di chiesa nella sua spiritualità e nel lavoro con i giovani e con il popolo, affrontando disagi e rischi innumerevoli.
Presta una continua collaborazione ai Vescovi e al Papa, sia sul piano organizzativo ed esterno, sia su quello spirituale e apostolico.
Don Bosco ha espresso la sua ecclesialità attraverso la preghiera incessante, la docilità al magistero, la disponibilità all’aiuto economico, la corresponsabilità nel servizio al Popolo di Dio, la difesa scritta e orale della persona del Papa e del collegio apostolico, la fedeltà alle scelte della Chiesa, l’accettazione convinta delle osservazioni e degli orientamenti dottrinali, la dedizione senza riserve: “Qualunque fatica è poca, quando si tratta della Chiesa e del Papa”.
Art. 15 – Basta che siate giovani perché io vi ami assai
“E’ mio desiderio che i frutti di questo anno commemorativo perdurino a lungo, sia in codesta famiglia Salesiana, sia nella Chiesa universale, che in Don Bosco ha riconosciuto e riconosce un insigne modello di apostolo dei giovani.
Pertanto dichiaro e proclamo San Giovanni Bosco Padre e Maestro della gioventù, stabilendo che con tale titolo Egli sia onorato e invocato, specialmente da quanti si riconoscono suoi figli spirituali, ha scritto Giovanni Paolo II.
Viene così indicato lo spazio storico entro cui si è mosso Don Bosco: maestro della gioventù; e meritatamente viene espressa la modalità del suo impegno: padre della gioventù.
I principali valori dell’esperienza di Don Bosco trovano nei giovani il loro punto di convergenza e di coesione: il suo tipo di santità, la scelta del campo apostolico, la strategia d’intervento, il programma concreto di azione, il segreto della riuscita.
I giovani rappresentano, con e dopo il Signore, l’altro polo per cui vive ed opera Don Bosco.
L’amore verso i giovani, quello tipico di un padre, di un maestro e di un amico, ha sostenuto Don Bosco nelle sue fatiche.
I giovani rappresentano una specie di iniezione quotidiana di giovinezza e di buona vista per reinterpretare la società, e per Don Bosco una speciale vocazione.
“Io per voi studio, per voi lavoro, per voi vivo, per voi sono disposto anche a dare la vita”.
Art. 16 – Il nostro metodo si fonda tutto sopra la ragione, la religione e l’amorevolezza
Il tratto peculiare della genialità di Don Bosco è legato a quella prassi educativa che egli stesso chiamò sistema preventivo. Il Sistema Preventivo rappresenta, in certo modo, il condensato della sua saggezza pedagogica e costituisce quel messaggio profetico, che egli ha lasciato ai suoi e a tutta la Chiesa.
E’ un’esperienza spirituale educativa. E’ amore che si dona gratuitamente nell’esercizio di una carità che sa farsi amare. E’ la scelta della bontà eretta a sistema e il cui contenuto è lo spirito di famiglia, la capacità di amicizia e di dialogo, la semplicità nella convivenza con i più bisognosi, l’affabilità gioiosa ed ottimista.
Si fonda tutto sopra la ragione, la religione, l’amorevolezza.
La Ragione sottolinea l’autentica visione dell’umanesimo cristiano, in cui l’allegria, la pietà, la saggezza, il lavoro, lo studio, il senso dell’umano si fondono in armonia.
La Religione è fare spazio alla grazia che salva, al desiderio di Dio, a Cristo Signore uomo nuovo, che offre un senso e una risposta alla ricerca della felicità.
L’Amorevolezza è la sostanza di un’intuizione psicologica: i giovani non siano solo amati, ma essi stessi conoscano di essere amati.
E’ equilibrio dell’educatore che si pone come amico maturo e responsabile accanto al giovane.
E’ carità evangelica benigna e paziente, che tutto soffre e sostiene qualunque disturbo.
E’ capacità di amare a misura dei ragazzi, vestendo l’amore di segni, che egli comprende.
Il Sistema Preventivo è inscindibile dalla persona di Don Bosco, è la sua stessa esperienza di Spirito Santo.
Art. 17 – L’unico mio appoggio è sempre stato il ricorso a Gesù Sacramentato e a Maria Ausiliatrice
Il Cristo che domina l’esistenza di Don Bosco è, prevalentemente, il Gesù vivo e presente nell’Eucaristia, il padrone di casa, come egli soleva dire, il centro di gravitazione verso il quale tutto converge, il pane di vita, il Figlio di Maria, Madre di Dio e della Chiesa.
Don Bosco è vissuto di questa presenza e in questa presenza.
L’Eucaristia sacrificio e sacramento, l’Eucaristia mangiata e adorata, è nella vita di Don Bosco forza e consolazione, sorgente di pace e fuoco di attività.
Per sé e per i giovani, è impensabile la santità senza l’Eucaristia.
L’Eucaristia è la chiave di volta per la conversione radicale del cuore all’amore di Dio.
La centralità di Cristo è vissuta, nello spirito salesiano, con una straordinaria sensibilità di contemplazione e di amicizia verso l’Eucaristia.
L’Ausiliatrice, poi, in Don Bosco non sottolinea un titolo, particolare e originale, sconosciuto anteriormente. E’, invece, il richiamo alla maternità universale di Maria, che interviene nell’opera di fondazione della sua Famiglia, realizzando così quasi un lavoro a due. E’ convinzione profonda ed irremovibile di Don Bosco: ‘Ella ha fatto tutto’.
Ci si può fidare di Maria. Perciò, a lei ci si può affidare.
Don Bosco ha legato, inoltre, in maniera indissolubile la sua devozione mariana al senso della Chiesa, al ministero di Pietro, alla fede semplice del Popolo di Dio, all’urgenza dei bisogni della gioventù.
B. Elementi portanti del comune spirito
Art. 18 – La carità pastorale
Centro e sintesi dello spirito salesiano è quella carità pastorale che Don Bosco ha vissuto con pienezza tra i giovani dell’Oratorio, spinto dal suo amore sacerdotale, soprannaturalmente appassionato del loro bene totale.
Carità è il nome dell’amore di Dio, anzi di Dio stesso. E’ richiesta ai discepoli del Signore come distintivo e riconoscimento che Dio guida i loro pensieri, le loro azioni, la vita intera.
E’ il centro di tutta la vita cristiana ed evangelica, perché sostiene ed orienta ogni forma di apostolato.
Nello stile di Don Bosco si specifica in alcune caratteristiche:
- è passione apostolica animata dall’ardore giovanile: la chiamiamo anche cuore oratoriano;
- è fervore, zelo incontenibile, ricerca di nuovi interventi per la salvezza dei giovani;
- è partecipazione alla missione di Gesù buon pastore;
- è ispirazione che trova la sua fonte nella Pentecoste, nella presenza ed azione dello Spirito di Dio;
- è sollecitudine che trova in Maria un esempio ricco di donazione di sé;
- è l’esatto contrario della mediocrità.
Ogni salesiano, imitando Don Bosco, tenta umilmente di essere segno e portatore dell’amore di Dio ai giovani e ad ogni altra persona che incontra.
Questa carità è intensamente pastorale, poiché va praticata in collegamento sincero ed operoso con i pastori della Chiesa, con il ministero dei Vescovi e del Papa, primi responsabili del gregge di Cristo Pastore.
Art. 19 – La grazia di unità
La carità pastorale è quella virtù con la quale noi imitiamo Cristo nella donazione di sé e nel suo servizio.
Non è soltanto quello che facciamo, ma il dono di noi stessi, che mostra l’amore di Cristo per il suo gregge.
La carità pastorale determina il nostro modo di pensare e di agire, il nostro modo di rapportarci alla gente.
I termini utilizzati nell’esperienza salesiana per esprimere il contenuto della carità pastorale come donazione di sé nel servizio apostolico sono vari: grazia di unità, interiorità apostolica, dimensione contemplativa della vita, sintesi vitale, unico movimento di carità verso Dio e verso i giovani, liturgia della vita…
La carità pastorale costituisce, per il membro della Famiglia salesiana, il principio interiore e dinamico capace di unificare le molteplici e diverse attività e preoccupazioni quotidiane. I due poli della carità pastorale, Dio e il prossimo, sono fra loro inseparabili.
E’ la disponibilità incondizionata all’azione dello Spirito che consacra il cuore dell’uomo al progetto di Dio, il dono di sé all’opera salvifica fino a dare la propria vita, la ricerca e la costruzione della comunione come dono e impegno dell’amore di Cristo Signore.
La contemplazione salesiana del mistero trinitario scopre continuamente Dio innamorato dell’uomo.
L’attenzione al prossimo procede da Dio e conduce continuamente a Dio, perché è sempre permeata dal suo amore.
Art. 20 – L’unione con Dio e lo stile di preghiera
Don Bosco è stato definito l’unione con Dio. E’ una realtà che la Famiglia salesiana intende approfondire per capire a fondo l’intensità orante del da mihi animas che è la preghiera nel nostro santo Fondatore.
La meta finale della preghiera era, per san Francesco di Sales e per Don Bosco, l’unione con Dio nella vita nuova, per giungere a ripetere con verità la parola di Paolo: “Vivo, ma non più io; è Gesù Cristo che vive in me”.
La preghiera sbocca, così, nella carità. Aiuta ad uscire da sé per realizzare l’unione con Dio. E’ un processo di rapimento in Dio, di estasi della vita e dell’azione. E’ un atteggiamento interiore di carità, proteso verso l’azione apostolica, nella quale si concretizza, si manifesta, cresce e si perfeziona.
Alcune insistenze e alcune caratteristiche esprimono la semplicità di cui si riveste l’intuizione ricca e profonda della preghiera in Don Bosco.
Nella sua ispirazione, è tutta attraversata dal soffio del da mihi animas.
Nel suo stile, è giovanile, popolare, gioiosa e creativa, semplice e aderente alla vita.
Nelle sue forme principali, va all’essenziale: Parola di Dio, Eucaristia, Penitenza, Maria Ausiliatrice.
Art. 21 – La missione giovanile e popolare
I discepoli di Don Bosco fanno esperienza di Dio attraverso quelli cui sono mandati: i giovani e il ceto popolare.
I giovani, innanzitutto: sono il dono di Dio alla Famiglia salesiana. Non sono soltanto i beneficiari di un’attività. Sono la nostra vocazione. Il Signore ha indicato a Don Bosco i giovani, specialmente i più poveri, come primi e principali destinatari della sua missione.
Senza i giovani, dunque, non ci possono essere presenze qualitativamente salesiane.
Specialisti dei giovani significa avere il cuore continuamente rivolto verso di loro, verso le loro aspirazioni e desideri, verso i loro problemi ed esigenze.
“Basta che siate giovani, perché io vi ami assai”.
Il ceto popolare è l’ambiente naturale e ordinario dove esprimere la scelta giovanile; il luogo sociale e umano dove cercare e incontrare la gioventù. C’è infatti tra giovani e popolo un rapporto di compenetrazione. L’impegno della Famiglia di Don Bosco, per accompagnarli nello sforzo di promozione umana e di crescita nella fede, intende evidenziare i valori evangelici di cui i poveri sono portatori: il senso della vita, la speranza di un futuro migliore.
Don Bosco tracciò, anche con l’Associazione dei devoti di Maria Ausiliatrice, un cammino di educazione alla fede per il popolo, valorizzando i contenuti della religiosità popolare e orientandoli verso la saggezza evangelica, che risponde ai grandi interrogativi dell’esistenza.
Il ceto popolare fu, per Don Bosco, il primo e significativo laboratorio dell’importanza e dell’efficacia della comunicazione sociale.
Art. 22 – L’ottimismo e la gioia della speranza
“Meditate pur seriamente e analizzate più minutamente che potete questa Magna Carta della nostra Congregazione, che è il sistema preventivo, facendo appello alla ragione, alla religione e all’amorevolezza; ma in ultima analisi dovrete convenire meco che tutto si riduce ad infondere nei cuori il santo timore di Dio; infonderlo, dico, cioè radicarlo in modo che vi resti sempre, anche in mezzo all’infuriare delle tempeste e bufere delle passioni e vicende umane”.
E’ la pedagogia della grazia o della gioia della coscienza pura.
Don Bosco ha santificato la gioia di vivere e ha offerto ai giovani la chiave per raggiungere la felicità. Il Giovane Provveduto, la biografia di Domenico Savio, l’apologo contenuto nella storia di Valentino sono la dimostrazione della corrispondenza, teorica e pratica, tra grazia e felicità.
Alla scuola di san Francesco di Sales e di Don Bosco, il salesiano, consacrato o laico, costruisce dentro di sé alcuni atteggiamenti di fondo:
- la fiducia nella vittoria del bene:
“In ogni giovane, anche il più disgraziato, abbia un punto accessibile al bene; è dovere primo dell’educatore di cercare questo punto, questa corda sensibile del cuore, e di trarne profitto”;
- l’apertura ai valori umani:
Il salesiano “coglie i valori del mondo e rifiuta di gemere sul proprio tempo: ritiene tutto ciò che è buono, specie se gradito ai giovani. Chi è sempre pronto a lamentarsi non ha vero spirito salesiano;
- l’educazione alle gioie quotidiane:
“Ci sarebbe bisogno di un paziente sforzo di educazione per imparare o imparare di nuovo a gustare semplicemente le molteplici gioie umane che il Creatore mette già sul nostro cammino”.
L’educazione alla gioia è educazione alla speranza e alla donazione di sé.
Art. 23 – L’ascesi della bontà
L’amorevolezza di Don Bosco è, senza dubbio, un caratteristico ed originale elemento pedagogico e metodologico nell’insieme del sistema educativo.
Anche oggi, pur in un mutato contesto culturale e con giovani di religione non cristiana, questa caratteristica costituisce una fra le tante istanze valide e originali della pedagogia di Don Bosco. Non è però riducibile solo a un principio pedagogico.
L’amorevolezza intesa come dimostrazione e dilatazione della carità teologale verso i giovani e i ceti più indigenti è anche espressione di una spiritualità.
Assicura nel tempo la vera identità dello spirito salesiano ed è espressione perenne del suo stile.
Si può correttamente parlare infatti, per un membro della Famiglia salesiana, della spiritualità apostolica del farsi amare, oltre che dell’amare.
“Questa nostra reciproca affezione sopra quale cosa è fondata?… Sul desiderio che ho di salvare le vostre anime, che furono redente dal sangue prezioso di Gesù Cristo, e voi mi amate perché cerco di condurvi per la strada della salvezza eterna. Dunque il bene delle anime nostre è il fondamento della nostra affezione”.
Il metodo dell’azione salesiana non è semplicemente quello di amare soltanto (cosa evidentemente indispensabile), ma quello di essere capaci, pedagogicamente, di farsi amare, perché l’impegnativo compito dell’educazione è opera di cuore.
Non è una meta facile. Richiede una continua e profonda ascesi, per far posto e dare spazio nella propria esistenza al giovane e al suo desiderio di Dio. Non con le percosse, ma con la mansuetudine e la carità si sentì dire Don Bosco fin dal primo sogno premonitore.
La mansuetudine, la bontà, l’ascesi del farsi amare sono frutto dell’equilibrio dell’intelligenza e della custodia del cuore, dell’azione e del dono di sé.
Art. 24 – Lavoro e temperanza
a pratica della carità pastorale, divinamente ispirata, include l’esigenza di conversione e di purificazione, la morte dell’uomo vecchio perché nasca, viva e si sviluppi l’uomo nuovo, che a immagine del Buon Pastore è pronto a dare la vita per le sue pecorelle, a sacrificarsi quotidianamente nel lavoro apostolico.
Lavorare sempre fino alla morte è il primo articolo del codice salesiano.
L’austerità è nel costume, nella volontà di sacrificio, nel distacco, non nel tono della vita. Si lavora, si tollera, si stenta allegramente, perché in tutto c’entra il cuore, e l’anima è così temprata ad alti ideali, è così disposta al superamento del non necessario, che permette la massima disinvoltura di movimento e di spirito.
Non occorre cercare penitenze straordinarie, ma solo accettare con serenità le fatiche e le difficoltà quotidiane per restare disponibili a servire bene Dio e i fratelli.
L’ascesi salesiana ha diversi aspetti: é ascesi di umiltà per non essere altro che servi davanti a Dio; è ascesi di mortificazione, per rendersi padroni di sé, saper custodire i propri sensi e il proprio cuore, saper rifiutare uno stile di vita comoda; è ascesi di coraggio e di pazienza per essere perseveranti nell’azione stessa; è ascesi di dedizione quando le circostanze e gli avvenimenti invitano ad essere più vicini a Cristo crocifisso.
E l’ultima forma, la più bella, quella della gratuità, consiste nel rifiutarsi di gemere, di far vedere che si rinuncia a qualcosa, sapendo, invece, dare con gioia sempre.
Art. 25 – Lo spirito di iniziativa
La Chiesa che custodisce il deposito della Parola di Dio, da cui vengono attinti i principi per l’ordine morale e religioso, anche se non ha sempre pronta la soluzione per ogni singola questione, desidera unire la luce della Rivelazione alla competenza di tutti, allo scopo di illuminare la strada sulla quale si è messa da poco l’umanità.
E’ perciò un dovere, per tutti, coltivare atteggiamenti di coraggio nella ricerca del bene e di creatività nelle forme di intervento apostolico.
In un momento come l’attuale, in una società caratterizzata dalla mobilità, dalla velocità e dalla fretta, non bisogna smarrire il senso e lo spirito dell’iniziativa pastorale.
Rimanendo ancorati al principio della concretezza e del contesto reale in cui si è chiamati a vivere, il discernimento spirituale deve orientare il cammino.
Don Filippo Rinaldi ricorda con forza ai salesiani: “Questa elasticità di adattamento a tutte le forme di bene che vanno di continuo sorgendo nel seno dell’umanità è lo spirito proprio delle nostre Costituzioni; e il giorno in cui si introducesse una variazione contraria a questo spirito, per la nostra Società, sarebbe finito”.
Sono molte le parole di Don Bosco che raccomandano questo spirito di iniziativa: “Si accondiscenda proprio sempre molto dove si può; pieghiamoci alle esigenze moderne, anche ai costumi e alle consuetudini dei vari luoghi, purché non si abbia a fare contro coscienza”. Non è un problema solo di adattamento; ciò che è richiesto è il continuo rinnovamento alla luce dei segni dei tempi.
Art. 26 – Il radicamento nel mistero di Cristo e l’affidamento a Maria
L’orientamento ultimo dello spirito salesiano è la vita cristiana, la formazione del credente.
L’uomo formato e maturo è il cittadino che ha fede, che mette al centro della sua vita l’ideale dell’uomo nuovo proclamato da Gesù Cristo e che è coraggioso testimone delle proprie convinzioni religiose.
Radicarsi in Cristo è la gioia più profonda per un figlio di don Bosco. Da qui l’amore alla Parola e il desiderio di vivere il mistero di Cristo ripresentato dalla liturgia della Chiesa; la celebrazione assidua dei sacramenti dell’Eucaristia e della Riconciliazione che educano alla libertà cristiana, alla conversione del cuore e allo Spirito di condivisione e di servizio; la partecipazione al mistero della pasqua del Signore che apre alla comprensione nuova della vita e del suo significato personale e comunitario, interiore e sociale.
Nel mistero di Cristo è presente in modo significativo ed irrinunciabile la persona di Maria. Se vogliamo essere cristiani, dobbiamo essere mariani, dobbiamo cioè riconoscere il rapporto essenziale, vitale, provvidenziale che unisce la Madonna a Gesù e che apre a noi la via che a Lui conduce.
Tutta la Famiglia salesiana si sente famiglia mariana, nata per la sollecitudine materna dell’Immacolata Ausiliatrice.
Perciò il salesiano a lei si affida. Affidamento è un dinamismo ascendente: si è chiamati a compiere il gesto del dono di sé, a rispondere con generosità a una missione da compiere, a corrispondere con la pienezza dei carismi, di cui siamo stati arricchiti, a impegnarsi di persona in un cammino rinnovato.
Maria, segno di sicura speranza e di consolazione per il peregrinante popolo di Dio, è suscitatrice di impegno personale e di slancio apostolico.
Art. 27 – Il senso di Chiesa
Don Bosco mise come principio fondamentale della sua azione apostolica l’accettazione filiale e devota delle indicazioni del Magistero autentico, ma nello stesso tempo fu tenace difensore del suo carisma di fronte a pressioni di ecclesiastici non sufficientemente illuminati.
La riflessione, profonda e prolungata, del Concilio Vaticano 2° ha posto al centro la realtà della Chiesa – mistero che, nella sua dimensione di popolo di Dio, si presenta particolarmente come centro di unità e di comunione. Essa costruisce questa realtà accogliendo il dono dello Spirito e facendosi risposta operativa attraverso l’impegno convergente di tutti i battezzati.
Il problema dell’unità è, oggi più che mai, di attualità.
La Famiglia di Don Bosco ha tra i tesori di casa una ricca tradizione di fedeltà filiale al Successore di Pietro, e di comunione e collaborazione con le Chiesa locali.
“Quando il Papa ci manifesta un desiderio, questo sia per noi un comando”: sembra un’espressione sfuggita inconsapevolmente dalla bocca di Don Bosco. Rappresenta, invece, una scelta esplicita, per la sua radice religiosa.
La collaborazione con la Chiesa locale implica oggi un rinnovato rapporto, nell’educazione e nella pastorale, con i carismi e i contributi originali dei fedeli laici in una chiesa particolare.
Nella fedeltà allo spirito di Don Bosco dunque ci viene richiesto oggi un dinamismo nuovo che costruisca la comunione con tutti i credenti.
Art. 28 – Un’attenta sensibilità alle interpellanze della nuova evangelizzazione
Una prospettiva domina l’impegno della Chiesa contemporanea: la nuova evangelizzazione.
Tutta l’opera di don Bosco è nata da un semplice catechismo e l’evangelizzazione e la catechesi, che ne rappresentano l’ambito e l’approfondimento, restano per la Famiglia salesiana una dimensione fondamentale.
Questa tradizione rende oggi tutti i gruppi della Famiglia particolarmente attenti e sensibili alle esigenze personali ed oggettive della nuova evangelizzazione.
Molti documenti della Chiesa hanno indicato nella nuova evangelizzazione un rinnovato atteggiamento pentecostale del Popolo di Dio per proclamare coraggiosamente l’ineffabile presenza del Cristo vivente, Signore della storia, il primo e più grande evangelizzatore che sa rispondere alle attuali gigantesche sfide del mondo.
Alla Famiglia salesiana la prospettiva della nuova evangelizzazione richiede:
- di evidenziare la novità dei contesti entro cui si è chiamati ad evangelizzare: siamo di fronte a situazioni ecclesiali, sociali, economiche, politiche assolutamente inedite;
- di cogliere la novità insita negli orientamenti della Chiesa che indica i nuovi operatori dell’evangelizzazione e le nuove frontiere in cui inserirsi per l’annuncio del Cristo;
- di assumere le conseguenze che la nuova evangelizzazione ha sul lavoro educativo salesiano.
La riflessione sul mutuo rapporto tra maturazione umana e crescita cristiana deve essere considerata da noi basilare e indispensabile in tutte le situazioni.
Seguici sui Social